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Thursday October 02, 2008 21:36 by Pier Francesco Zarcone - FdCA - a titolo personale
Lo scenario internazionale si sta obiettivamente annuvolando. All'imperialismo statunitense, sempre più all'attacco a far tempo dalla implosione dell'URSS, si va contrapponendo un nuovo imperialismo russo, che nell'aggressività del primo trova ottimi appigli per dispiegarsi. Il nazionalismo grande-russo grazie a Stalin ritornò alla grande nella società sovietica (ormai tale di nome, ma non più di fatto), e certamente ha patito le più dolorose ferite nel periodo dalla caduta di Gorbaciov fino all'avvento al potere di Putin... Riflessioni sull'attuale scontro interimperialistaLo scenario internazionale si sta obiettivamente annuvolando. All'imperialismo statunitense, sempre più all'attacco a far tempo dalla implosione dell'URSS, si va contrapponendo un nuovo imperialismo russo, che nell'aggressività del primo trova ottimi appigli per dispiegarsi. Il nazionalismo grande-russo grazie a Stalin ritornò alla grande nella società sovietica (ormai tale di nome, ma non più di fatto), e certamente ha patito le più dolorose ferite nel periodo dalla caduta di Gorbaciov fino all'avvento al potere di Putin. Oggi è rimasta una cicatrice che la politica militare ed estera di Mosca vuole palesemente far dimenticare. La Federazione Russa, prima ridotta a "potenza regionale assai debilitata" (l'ossimoro qui è necessario), ora è una potenza regionale di tutto rilievo, non solo militare, perché economicamente forte a motivo del controllo di preziose risorse energetiche; ed effettua una politica di espansione palesemente proiettata alla riconquista del ruolo di potenza mondiale. In questa fase sta cercando non solo di riacquistare l'egemonia sulle aree viciniori che avevano fatto parte dell'URSS, ma anche di estendere la sua influenza ad aree extracontinentali, in termini di presenza militare e alleanze. Il tutto, ovviamente, all'insegna di una "realpolitik" spregiudicata, per la quale le contraddizioni razionali sono funzionali e non di ostacolo. Tant'è che Mosca - con una questione cecena solo temporaneamente chiUSA manu militari, e con la sua perdurante opposizione alla secessione kossovara dalla Serbia - "audacemente" e attivamente appoggia le secessioni di Ossezia del Sud e Abkhazia. D'altro canto, logica e ragion di Stato non sono mai andate a braccetto. Cosa che, beninteso, riguarda anche gli Stati Uniti, padrini dell'indipendenza del Kóssovo e difensori della "integrità territoriale" della Georgia; guarda caso entità entrambe sue alleate. Con buona pace di tutti, in Europa la catastrofe jugoslava è stata l'inizio di un ciclo che ci porta a fare di nuovo i conti con i nazionalismi, anzi - e forse peggio - con i micronazionalismi, o provocati da specifici interessi di terzi, o prontamente da terzi appoggiati per motivi strategici, economici e militari. Il governo georgiano di quella creatura degli USA che è Mikheil Saakashvili si trova alle prese (o meglio, si dovrebbe trovare) con enormi problemi interni, economici e sociali: giustamente la Federazione dei Comunisti Anarchici (FdCA) nel suo comunicato dal titolo "Dove passano gas ed oro nero si muore. Tra Georgia e Russia è guerra sulla Via della Seta del XXI secolo", del 12 agosto 2008, ha ricordato che "un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà, il tasso di disoccupazione ufficialmente è al 16%, ma in realtà è molto più alto; la pensione media si aggira sui 16 euro al mese; la vigente legislazione sul lavoro consente il licenziamento senza giusta caUSA". Tant'è che il malcontento popolare è esploso in occasione delle elezioni presidenziali dello scorso gennaio indette in seguito alle grandi manifestazioni di protesta del novembre 2007, perché la povertà aumentava insieme alla crescita macroeconomica. Saakashvili ha vinto per la seconda volta, ma ha dovuto reprimere decine di migliaia di manifestanti che nella capitale Tbilisi denunciavano brogli, corruzione, autoritarismo e disastro economico. "Come da copione" Saakashvili ha giocato la carta
nazionalista, e si è buttato in un'irresponsabile azione militare per riportare
sotto la bandiera georgiana popolazioni che, a torto o ragione, non ne vogliono
sapere (quanto meno così sembra). Ovviamente con il placet degli Stati
Uniti, i cui governi e circoli capitalisti da tempo hanno sviluppato un
pericoloso e guerrafondaio spirito di impunità e versioni più o meno
modernizzate dell'ottocentesca dottrina del "Destino manifesto". Dopo gli esiti
"ricostituenti" della terapia-Putin, c'era da aspettarsi che la Russia reagisse,
e militarmente. A prescindere dall'essere molti osseti anche cittadini russi, va
rilevato che l'iniziativa militare di Saakashvili non è assimilabile al
conflitto che, a ridosso della caduta dell'URSS, oppose Armenia e Azerbaigian
per il Nagorno-Karabakh: in fondo era considerabile un conflitto locale.
L'attacco delle truppe georgiane è invece facilmente inquadrabile nella manovra
statunitense di accerchiamento politico/militare della Russia dal Baltico al
Caucaso, mediante alleanze con Stati di regioni prima facenti parte dell'URSS,
oppure firmatari del defunto Patto di Varsavia, da portare quanto prima nella
NATO. Trovandoci nel Caucaso si deve sottolineare che la zona rientra nel
progetto di costituire una presenza forte occidentale in un'area strategica per
gli approvvigionamenti energetici. Con questo non si vuole certo sostenere che l'equilibrio fra opposti imperialismi sia positivo per i popoli soggetti; bensì che alla fine dei conti appaiono troppo semplicistici sia il vecchio detto "il nemico del mio nemico è mio amico", sia la versione più moderata "il nemico del mio nemico è un possibile alleato, e comunque posso cercare di trarne giovamento". Nella logica utilitarista della realpolitik i popoli vengono giocati come pedine in tragiche partite a scacchi; e l'uso del nazionalismo si è rivelato idoneo a produrre effetti da vero oppio dei popoli. I nazionalismi serbo, croato, kossovaro e georgiano ne sono gli esempi più recenti, in termini di produzione di disastri per le popolazioni vittime, a prescindere dalle collocazioni geopolitiche di queste. Finora, nelle aree di crisi, abbiamo visto solo popolazioni vittime, o complici, o con entrambi i ruoli; e continuando così le cose il gioco degli imperialismi continuerà imperterrito. Da lunghissimo tempo, e anche in una fase di enorme sviluppo delle tecnologie comunicative, i "mass-media" si caratterizzano per il loro informare su tantissime cose, ma non su quelle che servono a conoscere e capire. Così, sappiamo che esistono in Ucraina e Georgia correnti filorusse e filostatunitensi, ma nulla sappiamo circa l'eventuale esistenza - lì come in altre zone esposte - di correnti positive non orientate al "filoquesto" o "filoquello", bensì a farsi portavoce (e avanguardia; il che non guasta mai se fatto bene) degli interessi sociali/economici/politici delle masse lavoratrici, e ad assumere attive posizioni antimperialiste. Al di fuori delle aree di crisi i popoli appaiono in tutt'altre faccende affaccendati, e occupati da interessi diversi. E la crisi economica ed esistenziale provocata dall'Europa del capitale favorisce le scelte di occuparsi ciascuno delle proprie faccende. Le residuali sinistre istituzionali o latitano, o effettuano scelte di schieramento acritico. Esempio ne è il Partido Comunista Português collocatosi "senza se e senza ma" dalla parte di Mosca. Niente di nuovo, ma anche niente di utile. Purtroppo a brillare per la sua assenza (ma forse anche questa non è una novità) è un vero internazionalismo proletario che - proprio a motivo di questo aggettivo - si ponga a difesa degli interessi delle masse sfruttate, indipendentemente dalla bandiera dei loro sfruttatori, e punti a far capire (ancora una volta!) quello che dovrebbe essere evidente: cioè che nei paesi capitalisti (a capitalismo privato o di Stato) il primo nemico è all'interno. È molto più facile e immediato collocarsi nell'opinabile e sterile ottica del chi ha ragione e chi ha torto in una contesa determinata. In tal modo si dimentica quale realtà si celi dietro a questi "chi". Si tratta dei governi (e quindi degli Stati), non dei popoli, quand'anche le mistificazioni ideologiche portino per lo più questi ultimi a schierarsi con i propri governi. E le ragioni dei governi rispondono a logiche oggettive specifiche, in contrasto con gli altrettanto oggettivi (quand'anche obliterati) interessi dei lavoratori. È contro l'imperialismo in quanto tale che bisogna continuare a porsi, e in termini multilaterali, seppure spesso la conseguibilità di taluni risultati immediati sia suscettibile di far ritenere utile il successo dell'uno o dell'altro imperialismo. Ma l'imperialismo persegue obiettivi propri, e solo occasionalmente e contingentemente sembra aiutare chi lotta per la liberazione sociale. Presto l'apparenza si dissolve e risulta visibile una realtà amara. Pier Francesco Zarcone 15 settembre 2008 |
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