Affrontare la
disoccupazione e la repressione con una stagione di rivendicazioni e di lotte
auto-organizzate nelle fabbriche, nel territorio, in tutta la società
Il 2009 si apre con l'avverarsi
delle temute conseguenze della crisi finanziaria sulla cosiddetta economia
reale: crollo del credito, crollo della domanda, crollo della produzione,
cassa integrazione e licenziamenti, precarizzazione occupazionale e sociale
sempre più diffusa (il 12% degli occupati a settembre 2008 in Italia, si stima
in 1 milione i posti di lavoro sacrificati).
Che le crisi finanziarie si
sviluppino, dal punto di vista cronologico, prima di quelle della produzione,
porta all'illusione che esse ne siano la causa mentre non ne sono che
l'effetto, anche se, ovviamente, l'effetto a sua volta reagisce sulla causa,
aggravandone le conseguenze.
E' da due decenni che in molti
paesi dell'occidente, a cominciare dagli Stati Uniti, i salari reali
diminuiscono, che si assiste a un reale impoverimento delle classi lavoratrici
e ad una concentrazione della ricchezza in poche fasce privilegiate. Si è
cercato in tutti i modi di accrescere i consumi con la vendita a credito per
ogni tipo di bene, con i mutui per le case. E più il reale potere d'acquisto
dei salari di buona parte della popolazione era modesta, più col credito si
dava a tanti l'illusione del benessere, condannandoli a una spirale
prestito/debito fatta di schiavitù verso le banche e le agenzie finanziarie.
Questo stato di impoverimento salariale e di forte indebitamento sul reddito
(il 48% in Italia) ha provocato un indebolimento della capacità di lotta dei
lavoratori, i quali - ostaggio del bisogno di reddito - temono per il proprio
posto di lavoro. Dal crescente squilibrio tra la capacità di consumo reale
della popolazione e la capacità produttiva, americana o di paesi esportatori
nasce l'enorme debito su cui si è formato un fantasmagorico castello
finanziario.
La crisi economica, diventata
recessione, ricade dunque sulla sua origine e mette a nudo quelle scelte fatte
dal capitalismo che hanno caratterizzato l'attuale fase neoliberista di
subordinazione della forza-lavoro e di massima estrazione possibile di
profitti dal suo sfruttamento:
-
l'aumento dello sfruttamento del
lavoro (orari e straordinari), aumento dell'età pensionabile,
l'intensificazione dei ritmi di lavoro, ecc.;
-
la riduzione del salario al di
sotto del suo valore, il rallentamento della dinamica salariale per
privilegiare il salario legato alla produttività aziendale, la mancanza di un
sistema automatico di rivalutazione rispetto all'aumento dei prezzi...;
-
l'abbattimento dei costi del
capitale, dai materiali meno costosi nella produzione o a macchinari obsoleti
al risparmio sulle misure di sicurezza e di prevenzione, causa di incidenti
mortali e non sui posti di lavoro;
-
l'attrazione di manodopera (in
grandissima parte lavoratori immigrati) da utilizzare in settori a basso
salario ed alti profitti;
-
la crescita delle esportazioni,
(vedi Germania, primo esportatore mondiale); oppure investendo capitali
all'estero, facendo leva sui salari inferiori di Asia, Africa, America latina
e Europa orientale, o ancora la delocalizzazione della produzione con
esternalizzazioni o trasferimenti di intere aziende, ecc.;
-
l'accrescimento del capitale
azionario con investimenti a solo titolo speculativo sui titoli o sui
dividendi di grandi conglomerati, la sottrazione di capitali alla produzione.
Ora gli Stati, del tutto
conniventi con le loro politiche generalizzate di tagli alla spesa pubblica e
privatizzazioni dei servizi sociali, cercano di "governare" la crisi,
elargendo miliardi di dollari e di euro alle banche ed alle istituzioni
finanziarie, ma appaiono del tutto riluttanti a ri-mettere in campo politiche
di tutele e protezione sociale che possano espandere il debito pubblico o
rilanciare la domanda; preferiscono piuttosto "governare" la diffusione della
precarietà e della povertà con le dure repressioni che stanno colpendo in
diversi paesi le proteste e le manifestazioni dei lavoratori espulsi dalla
produzione. Le cosiddette politiche neo-keynesiane, se esistono, si collocano
sul campo della produzione militare e della guerra endemica che trova le sue
recrudescenze ora in Afghanistan, ora in Pakistan, ora in Palestina con grande
strage di popolazione inerme e distruzione di risorse. Oppure si collocano sul
campo del controllo, dello sfruttamento e della commercializzazione delle
risorse energetiche. Entrambe facce spietate dell'imperialismo e delle sue
articolazioni regionali.
In Italia, il governo di destra,
che interpreta il potere esecutivo in modo totalitario, non intende procedere
sulla strada di soluzioni di sostegno ai redditi, preferendo altrimenti la
strada della carità, ma soprattutto si impegna nell'inasprimento di
-
politiche razziste che puntano
alla vera e propria discriminazione verso gli immigrati, 2 volte vittime della
crisi;
-
politiche autoritarie che
militarizzano il territorio e lo sottraggono alla gestione diretta di chi ci
abita; o che limitano scelte individuali di vita, etiche e riproduttive;
-
politiche di riduzione del reddito
e induzione all'indebitamento che aumentano la ricattabilità della classe
lavoratrice, di fronte all'indebolimento e allo svuotamento delle
contrattazioni collettive e delle lotte sindacali;
-
politiche di distruzione della
sfera pubblica e sociale, dalla scuola ai trasporti, dalla sanità alla
previdenza;
-
politiche di impoverimento
culturale tramite la dittatura mass-mediatica, i tagli alla cultura, gli
sgomberi anche feroci di centri sociali autogestiti ad opera della
amministrazioni locali;
-
uso indiretto dell'intolleranza e
della bestialità neofascista per colpire minoranze etniche, di genere e
politiche.
Si apre un durissimo anno di
lotta, in cui i colpi della crisi si intrecceranno con gli effetti delle
scelte politiche fatte dal governo e di alcuni contratti di lavoro disastrosi,
condivisi da alcuni sindacati collaborazionisti come CISL e UIL. La firma
dell'accordo che sancirà le nuove condizioni e modalità della contrattazione
per i prossimi 15 anni (con tutto quello che ne consegue in termini di
annullamento del conflitto sindacale e degli organismi di base operai nei
luoghi di lavoro); il progetto di innalzamento dell'età pensionabile;
l'applicazione dei tagli sulla scuola pubblica, non potranno che rendere più
difficili le condizioni di vita dei lavoratori che verranno espulsi dai luoghi
di lavoro e che si troveranno, insieme a tanti loro compagni di lavoro già
licenziati, in una situazione di precarietà che si annuncia irreversibile.
E' necessario fermare ogni forma
di allontanamento dal luogo di lavoro di tutti i lavoratori/trici, italiani ed
immigrati; è necessario non procedere alla cassa integrazione a zero ore; è
necessario ridurre l'orario di lavoro per lavorare tutti, ma senza perdita di
reddito; è necessario rifiutare ogni richiesta di straordinari o di
flessibilità oraria che danneggi altri lavoratori; è necessaria una battaglia
salariale per aumenti sganciati dalla produttività e che non si facciano
schiacciare dalla bassa inflazione, recuperando il fiscal drag ed il carico
fiscale sulle retribuzioni, per sostenere una domanda popolare legata ai
bisogni materiali immediati ed alla esigibilità dei diritti fondamentali. E'
necessario il controllo dal basso sulla contrattazione ed occorre vigilare
contro il fascismo aziendale attraverso strutture assembleari nei posti di
lavoro.
La crisi economica diffonde
sfiducia ed individualismo, disorientamento ed isolamento; la crisi economica
porta in grembo tentazioni dirigistiche ed autoritarie che si fanno realtà con
politiche di emarginazione e di punizione che puntano allo sfilacciamento di
qualsiasi forma di solidarietà, di lotta, di organizzazione, di reticolarità
che partendo dal basso, si opponga ad ogni definitiva normalizzazione e possa
fare a meno delle compatibilità capitalistiche.
Il movimento nelle scuole e nelle
università ha dimostrato di poter restituire autonomia ed iniziativa di massa
a strutture nate dal basso e radicatesi nei territori, tramite i comitati
popolari e le reti. Questo movimento ha bisogno del protagonismo e della
partecipazione degli attivisti anarchici perché mantenga tali caratteristiche
nell'affrontare le ulteriori lotte che già si approssimano.
Il movimento dei lavoratori, in
più di un'occasione, con scioperi generali o di categoria nell'autunno 2008,
ha dimostrato di poter riprendere con forza autonomia e capacità di
mobilitazione, sostenuto dalla CGIL (trascinata dalla sua anima conflittuale)
e dal sindacalismo di base; ma ora - in vista dello sciopero del 13 febbraio -
ha bisogno di una solidarietà ancora più grande e di una mobilitazione ancora
più ampia a fronte della stessa ampiezza della crisi economica.
Occorre costruire dal basso un
movimento contro la precarietà, che attraversi tutti i settori lavorativi, che
si ponga come soggetto conflittuale e rivendicativo nel territorio e nella
società per ottenere il mantenimento dei posti di lavoro e le tutele sociali
legate ai diritti fondamentali di vita e di cittadinanza, per sconfiggere la
solitudine dei lavoratori espulsi dai posti di lavoro, per ricucire interessi
collettivi e condivisi di fronte all'offensiva della crisi capitalistica.
Il movimento contro la guerra,
sulla base dell'indignazione per la strage di Gaza, può riaprire una stagione
di mobilitazioni e di lotte autogestite per la pace, per la smilitarizzazione,
per il disarmo, per la ricostruzione di una coscienza diffusa dei mali insiti
nelle politiche imperialiste (sfruttamento, guerre, distruzioni, terrorismo),
e dei loro attori, per la demistificazione della guerra come volano
dell'economia, per l'appoggio concreto alle iniziative anti-imperialiste ed
anti-espansioniste, per la diffusione della solidarietà internazionale degli
oppressi al di là delle identità nazionali, delle religioni, degli Stati.
Tali questioni sono ormai
all'ordine dl giorno in moltissimi paesi europei e di altri continenti. La
mobilitazione internazionale di massa ed al suo interno la presenza coordinata
dei comunisti anarchici e delle loro organizzazioni politiche è auspicabile e
praticabile per
rilanciare la democrazia di
base e dal basso, la democrazia diretta nei nostri paesi, la difesa e la
creazione di spazi collettivi di base, autogestiti e di decisionalità nel
territorio e nei posti di lavoro, dove radicare la lotta anticapitalista e
costruire l'alternativa libertaria alla barbarie della crisi scatenata dal
capitalismo e dagli Stati.
Consiglio dei
Delegati
Federazione dei Comunisti Anarchici
25 gennaio 2009