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Il problema non è una Finanziaria da macelleria sociale: il problema è il capitalismo

category irlanda / gran bretagna | la sinistra | cronaca author Monday December 13, 2010 16:43author by Gregor Kerr - Workers Solidarity Movement Report this post to the editors

Discorso del WSM davanti a Dáil Éireann

Durante le proteste contro la finanziaria davanti a Dáil Éireann [camera dei deputati] il 7 dicembre 2010, Gregor Kerr ha pronunciato il seguente discorso a nome del Workers Solidarity Movement. Ricordando la necessità di contestare questa finanziaria, Kerr aggiunge che bisogna guardare oltre e sottolineare il fatto che il capitalismo in quanto modo di organizzare la società è moralmente e politicamente bancarotta. Se vogliamo assicurarci che questa crisi finanziaria, e la miseria economica che ha portato a milioni di lavoratori e lavoratrici in tutto il mondo, sia l'ultima allora occorre organizzarci, non per cambiare gli amministratori del capitalismo bensì per rovesciare il sistema capitalista e sostituirlo con un sistema che mette i bisogni dei molti al di sopra dell'avidità dei pochi.


Il problema non è una Finanziaria da macelleria sociale: il problema è il capitalismo


Quanto è bello vedere tanta gente qui stasera. Siamo tutti qui perché vogliamo dire chiaro e tondo che quanto succede dall'altra parte di questi cancelli stasera è ingiusto, iniquo, e del tutto sbagliato. Le decisioni che saranno prese e che ulteriormente impoveriranno la gente comune e ulteriormente attaccheranno i nostri servizi pubblici per proteggere gli interessi dell'élite benestante va contrastato.

Ecco perché siamo tutti qui: perché vogliamo far parte del movimento di opposizione. Vogliamo fare quel che possiamo per dimostrare che esiste un'alternativa e che non abbiamo intenzione di ingoiare in silenzio questi attacchi.

Abbiamo un chiaro messaggio: loro non hanno condiviso le ricchezze, noi non condivideremo il dolore.

Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che il sistema politico che ha consentito il cataclisma di questa crisi finanziari non funziona, o almeno non funziona per la stragrande maggioranza delle persone.

Questo sistema politico - il capitalismo - funziona sì, eccome, per la élite dei ricchi che detengono e controllano il potere politico. Quello che abbiamo visto negli ultimi due anni e soprattutto nelle ultime due settimane, sin dall'"intervento" del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Centrale Europea, non è una qualche aberrazione o evento straordinario. E' il capitalismo nudo e crudo.

Il capitalismo è sempre stato la rapina dei molti a beneficio dei pochi. La metà della popolazione mondiale - oltre 3 miliardi di persone - sono costrette a vivere con meno di 2 euro al giorno. Eppure la ricchezza è cresciuta lo scorso anno del 18,9% fino a 39 miliardi di dollari.

In Irlanda, l'1% della popolazione possiede il 34% delle ricchezze. E l'Irlanda non è un caso insolito. A livello mondiale, l'1% della popolazione possiede il 40% delle ricchezze, secondo le cifre fornite dall'ONU. Non ci può essere alcuna giustificazione razionale per una simile lampante ineguaglianza economica.

I cicli del capitalismo - quelli periodici, boom e recessioni - disturbano continuamente il benessere economico, fisico e morale della vasta maggioranza della popolazione mondiale. Il capitalismo protegge la ricchezza di una minuscola élite, premia l'avidità e l'avarizia, loda come vincenti coloro che creano sempre più ricchezza per se stessi invece di coloro che contribuiscono al bene della società.

Il capitalismo, come modo di organizzare la società, è moralmente e politicamente bancarotta. L'ora di sbarazzarcene è passata da molto. Questo sistema non può essere migliorato con le regole. Le sue regole non possono essere perfezionate per renderlo in qualche modo "più giusto", "più equo".

Sotto il capitalismo, le decisioni economiche non vengono prese dagli organismi di regolazione o dai politici. Le vere decisioni economiche vengono prese dai "mercati finanziari", la cui saggezza è ripetutamente sbandierata dai cosiddetti specialisti ed economisti indipendenti. Eppure gran parte di questi "mercati finanziari" non è altro che un grande casinò dove pochissime persone possono fare enormi profitti e dove, ormai si sa, le eventuali perdite saranno pagate dai lavoratori.

Se vogliamo assicurarci che questa crisi finanziaria, e la miseria economica a cui ha portato milioni di lavoratori e lavoratrici in tutto il mondo, sia l'ultima, allora occorre organizzarci, non per cambiare gli amministratori del capitalismo bensì per rovesciare il sistema capitalista e sostituirlo con un sistema che metta i bisogni dei molti al di sopra dell'avidità dei pochi.

In questo contesto ci troviamo di fronte a due questioni:

  1. Con che tipo di società vogliamo rimpiazzare l'attuale sistema?
  2. Come faremo a costruire una nuova società?
Gli anarchici vogliono costruire una società socialista: una società fondata sulla libertà, sull'uguaglianza e sulla democrazia. Vogliamo costruire una società fondata sul possesso in comune dei beni: dove le risorse del mondo - le fabbriche, la terra, gli uffici, le aziende di trasporti, i giacimenti di petrolio - tutto è tenuto in comune dall'intera popolazione. Questo significherà che tutti avranno il diritto di partecipare alle decisioni sull'uso delle risorse globali e condividerne i benefici.

Vogliamo costruire una società fondata sulla produzione per soddisfare i bisogni e non per creare il profitto, una produzione effettuata in modo sostenibile per l'ambiente. Le enormi risorse naturali e tecniche del mondo devono essere gestite in comune e controllate democraticamente. Quindi l'unico scopo della produzione sarebbe quello di soddisfare i bisogni, e farlo in modo da lasciare il nostra pianeta nelle migliori condizioni per le future generazioni. Motore della produzione sarebbe il vecchio slogan "da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo i suoi bisogni".

E vogliamo costruire una società fondata sulla democrazia diretta: una società dove l'unico limite sulla libertà dell'individuo è quello di assicurarci che nessuno neghi quella stessa libertà ad altri, dove ognuno avrebbe il diritto di partecipare alle decisioni che li riguardano, una società fondata sul controllo dei lavoratori e delle lavoratrici sui luoghi di lavoro, sul controllo del territorio da parte di chi vi abita, una società organizzata con efficenza a livello nazionale ed internazionale.

Questo è il nostro obiettivo, il nostro sogno. Ma per adesso, sappiamo di essere ancora lontani da questa società. Tuttavia, ora che sempre più persone respingono l'attuale sistema e cercano qualcosa con cui sostituirlo, ci auguriamo che vi unirete con noi nel dibattito e, speriamo, nell'organizzazione di ciò che è necessario fare per costruire questa società.

Questa nuova società - fondata sull'uguaglianza, sulla libertà e sulla democrazia - deve prima essere immaginata da ognuno di noi. Sapete quello che non volete, ma riuscite ad immaginare e ad articolare quello che volete in alternativa? E siete in grado di parlare con i vostri amici, colleghi, familiari di come la società alternativa sarà?

Ecco la sfida. Si tratta di qualcosa che non può essere creato con un voto, come se fosse una bacchetta magica. Deve prima vivere nei nostri cuori, nelle nostre menti. Deve essere qualcosa in cui crediamo. E poi deve essere qualcosa per cui ognuno di noi è disposto ad assumersi la responsabilità della sua costruzione.

Se volete costruire una società che elimini il divario tra i governanti e i governati, tra i padroni e i lavoratori, tra le élite e tutti gli altri, allora bisogna impegnarsi e attivarsi. Se lo lasciamo agli altri, finiremo solo con una nuova classe di governanti.

La nostra forza è quello che ci lega, la nostra solidarietà. Nel breve termine, dobbiamo costruire quella solidarietà necessaria per poter resistere agli attacchi continui alle nostre condizioni di vita.

Nove giorni fa, 100 mila persone hanno marciato per le strade di Dublino per esprimere la loro opposizione al programma di austerità del governo. Ma non è sufficiente esprimere il proprio dissenso e poi tornarsene a casa. Bisogna alimentare il dissenso in ogni luogo di lavoro, in ogni quartiere. Che le decizioni economiche vengano prese da questo governo o da quello a seguire, dal FMI o dalla BCE, costoro possono fare solo quello che non permettiamo loro di fare.

La nostra arma più forte, se vogliamo effettuare un radicale cambiamento, è quella dell'astensione della nostra forza lavoro. La élite ricca che gestisce l'attuale società nei propri interessi, detiene oggi tutto il potere politico. Ma non funzionerebbe nulla senza di noi. Loro hanno bisogno del nostro lavoro nelle loro fabbriche, siamo noi che mandiamo avanti il carro della società, siamo noi che forniamo servizi sanitari, servizi scolastici, ecc.

Ecco dove si trova il nostro potere. Immaginate una situazione in cui tutti noi insieme - lavoratori pubblici e privati - smettiamo di lavorare. Immaginate il senso di forza collettiva che si sentirebbe. E immaginate il messaggio che una cosa del genere manderebbe ai nostri governi... Uno sciopero generale organizzato in ogni luogo di lavoro sarebbe il primo passo verso la ricostruzione di una società nei nostri interessi, piuttosto che per gli interessi di una minuscola minoranza ingorda.

Ma se vogliamo che si avveri qualcosa del genere, non possiamo affidarci ai nostri dirigenti sindacali o politici - per quanto possano essere ben intenzionati. Dobbiamo farlo noi stessi. E questo vuol dire che ognuno di noi deve essere disposto a diventare un "leader", un fautore di cambiamento e un crogiuolo del dibattito allo scopo di effettuare quel cambiamento.

Mentre organizziamo la resistenza all'attuale situazione, dobbiamo farci venire in mente quello che vorremmo. Dobbiamo osare sognare!

E bisogna sognare in grande... c'è un mondo intero in palio.


Traduzione a cura di FdCA - Ufficio relazioni internazionali

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