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Cosa dice, e cosa comporta esattamente l'accordo Confederale del 28-6-2011?

category italia / svizzera | lotte sindacali | stampa non anarchica author Thursday July 07, 2011 18:11author by Coordinamento RSU Report this post to the editors

Alcune considerazioni a cura del Coordinamento RSU

La Cgil ha definitivamente abbandonato ogni residuale soppravvivenza della sua esperienza precedente di sindacato partecipativo e rivendicativo aderendo formalmente al nuovo sistema neo-corporativo di relazioni sindacali già accettato a suo tempo da Cisl e Uil.
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Cosa dice, e cosa comporta esattamente l'accordo Confederale del 28-6-2011 ??


Alcune considerazioni a cura del Coordinamento RSU


Sulla premessa

La premessa all'accordo rende subito evidente come la necessità dello stesso stia sopratutto nello stabilire regole pattizie tra le organizzazioni per ridurre il rischio di conflitto tra le stesse.

Certo nella premessa è citata l'importanza della contrattazione in generale ma l'unica cosa chiara che si dice è come questa sia considerata subordinarla (ancor più esplicitamente dell'accordo 1993) agli obiettivi di produttività e competitività dell'impresa.

In generale, perché solo in generale parla la premessa, è evidente che la preoccupazione principale sia quella di tutelare che nulla turbi l'impegno comune, assunto unitariamente, di favorire l'impresa ad adattarsi alle attuali condizioni del mercato e della concorrenza.

Occupazione, retribuzioni ecc non sono valutati in quando questioni che devono dare risposte ai bisogni che il mondo del lavoro esprime, ma sono esplicitamente subordinati all'obbiettivo generale.

A questa premessa viene fatto dipendere l'impegno tra le parti in materia di contrattazione.

Contratto nazionale e contratto aziendale

Ovviamente viene ribadita la validità della contrattazione nazionale ma si capisce subito che questa non è la questione centrale dell'accordo.

Nel punto 2 dell'accordo le parti ribadiscono infatti come il CCNL mantenga la funzione di garantire certezza di trattamenti economici e normativi comuni ma la cosa appare subito residuale rispetto all'interesse di dare maggiore peso alla contrattazione decentrata. Infatti, il vero interesse dell'accordo, punto 7, è quello di affermare e sancire che i contratti collettivi possono definire "anche (e non solo) in via temporanea e sperimentale intese modificative delle regolamentazioni contenute nei CCNL nei limiti e con le procedure previste dagli stessi".

In coerenza a ciò, il punto 3 dell'accordo confederale demanda alla prossima contrattazione di categoria l'individuazione delle voci del contratto nazionale a cui la contrattazione decentrata può derogare.

Ma quali siano queste voci già lo si decide in realtà con questo accordo confederale. Sempre nel punto 7 l'accordo indica infatti come, in anticipo sui prossimi contratti nazionali di categoria, agli accordi aziendali che già ora è possibile fare, sia possibile derogare dal CCNL su materie quali,la prestazione lavorativa, gli orari e l'organizzazione del lavoro. Una apertura ancora più pesante di quanto già prevedeva l'accordo separato del 2009 che la CGIL non aveva riconosciuto.

In definitiva, il CCNL viene si ancora previsto nella sua funzione generale di stabilire un riferimento unitario originario, ma da punto certo di tutela ed esigibilità di diritti uguali a tutti i lavoratori in materia di prestazione e condizioni di lavoro, viene praticamente trasformato in un riferimento debole, sottoposto cioè ad essere adattato e trasformato alle singole esigenze di impresa, di settore e territorio.

In questo modo, si apre uno scenario dove potranno esserci tante e diverse normative sulla prestazione, sugli orari di lavoro, sulla condizione lavorativa, quante sono le aziende esistenti.

Qualsiasi sindacalista pratico di contrattazione dovrebbe capire come in questo sia di fatto segnato il percorso per un indebolimento progressivo del CCNL a scapito di patuizioni locali e aziendali.

Basterebbe aver studiato un poco la storia del movimento dei lavoratori in Italia, per ricordarsi di come le lotte degli anni '50-'60 furono lotte per conquistare il contratto nazionale contro una ideologia padronale che imponeva una frantumazione sindacale a livello aziendale-individuale che di fatto viveva su una subordinazione del lavoro all'interesse di impresa che impediva qualsiasi emancipazione generale, senza la quale non sarebbero state possibili le conquiste degli anni '60-'70 in materia di salario, di condizioni di lavoro, di diritti, di stato sociale.

I sindacalisti che hanno firmato questo accordo, di fatto si sono assunti una grave responsabilità avendo aperto la strada ad una nuova progressiva subordinazione del lavoro, quale era quella da cui ci si era faticosamente emancipati.

La coscienza in sé del movimento generale dei lavoratori viene così degradata in coscienza per sé del singolo lavoratore, costretto sempre più a adattarsi alle strategie concorrenziali dell'impresa in cui lavora, verso le altre imprese, verso gli altri lavoratori.

Una condizione da cui la centralità e la rigidità del CCNL li aveva emancipati favorendo la solidarietà generale e l'unità tra i lavoratori e lo sviluppo del movimento sindacale generale.

La rappresentatività sindacale

E' comunque evidente che la necessità (e la fretta) di questo accordo nasceva dall'interesse delle organizzazioni confederali di patuire un sistema di regole che da un lato ne governasse la concorrenzialità, e dall'altro ricostruisse un accreditamento verso le controparti padronali.

Incapaci di reggere i compiti di un sindacato partecipativo e rivendicativo (nel quale d'altronde non si riconoscono più da tempo), le deboli burocrazie sindacali subiscono quindi il loro assorbimento nella deriva neocorporativa del sistema di relazioni, convinte di poter così conquistare una autorevolezza che non sanno più riconoscere e vedere nel loro ruolo rappresentativo dei lavoratori.

Una adesione al modello neocorporativo già di fatto realizzatasi sostanzialmente con la contrattazione di questi anni (sopratutto in alcune categorie, come i chimici) e che ora si è andati a confermare anche sul piano formale con questo accordo e con i prossimi accordi aziendali e nazionali che di questo accordo saranno figli.

La resistenza della FIOM a questa deriva ha sicuramente accelerato l'interesse delle deboli burocrazie confederali (sopratutto della CGIL) a stabilire per accordo (con Confindustria) un sistema di regole sulla rappresentatività che rafforzasse il peso della burocrazia sindacale nel garantire l'esigibilità e la validità degli impegni che questa si assume sui tavoli della nuova concertazione neo-corporativa.

Così diventa centrale il rapporto tra le organizzazioni e le loro burocrazie rispetto alla partecipazione diretta dei lavoratori. Una questione che va risolta, sia per regolare la concorrenza tra le tre confederazioni sindacali, sia per dare alla controparte Confindustriale garanzie di affidabilità ed esigibilità degli accordi che queste firmano. Il punto di vista dei lavoratori non è considerato, se non in modo residuale.

Il punto 1 dell'accordo proprio di questo tratta.

La rappresentatività sindacale sulle piattaforme e sugli accordi non è più misurata sul consenso ottenuto dai lavoratori, ma lo è a priori, ed indipendentemente dai lavoratori, attraverso una certificazione burocratica delle organizzazioni sulla base di un mix tra deleghe certificate dall'INPS e voti nelle elezioni delle RSU.

In questo modo si misura il peso delle organizzazioni, e solo a questo peso ed al loro confronto è demandata la risoluzione di eventuali controversie in materia di accordi.

Per essere soggetto contrattuale riconosciuto e partecipare quindi ai tavoli negoziali è poi decisa una soglia di accesso del 5%. Una soglia di ingresso al riconoscimento di soggetto contrattuale che mira a garantire una condizione di monopolio della rappresentatività alle grandi organizzazioni. Certo questo funge da ostacolo alla proliferazione di sindacati gialli, ma è evidente che oggi come oggi, questa norma è chiaramente orientata a limitare la presenza e la visibilità del sindacalismo di base.

Con questo accordo, l'organizzazione in quanto tale assume così un riconoscimento di rappresentatività sulla base della sua sola forza organizzativa e burocratica, una rappresentatività che prescinde dal reale consenso tra tutti si lavoratori (e non solo tra gli iscritti), verso i quali le organizzazioni possono ora considerarsi autonome e libere.

Gli effetti di quanto è stato patuito tra le burocrazie sindacali confederali e quella Confindustriale sono evidenti successivamente, quando l'accordo affronta il problema della .........

Validazione degli accordi

L'accordo confederale deve infatti risolvere uno dei problemi messi sul tavolo da Confindustria che chiede alle organizzazioni di regolare le loro eventuali controversie per garantire a Confindustria l'esigibilità degli accordi firmati.

Ovviamente l'interesse è sopratutto sulla contrattazione decentrata, in particolare sulla possibilità di questa di derogare dal contratto nazionale.

Si pensa subito a Pomigliano ed a Mirafiori, alla resistenza della FIOM ed alle polemiche che da questi accordi (separati) sono sorti e che ne compromettono l'esigibilità stante le attuali normative contrattuali e di legge.

L'obiettivo di Confindustria è quello di non avere ostacoli alla affermazione del nuovo sistema di deroghe contrattuali a cui l'interesse di Capitale demanda i suoi obiettivi di aumento della produttività di impresa e della sua redditività.

Occorre poter modificare l'organizzazione del lavoro, gli orari, l'intensità di lavoro secondo gli interessi che ogni singola azienda ha, occorre eliminare ogni rigidità alle flessibilità che questi nuovi regimi comportano, occorre comprimere diritti, quali la malattia, i permessi, il diritto di sciopero, per rendere più fluida la gestione dell'impresa, ma occorre sopratutto che dove queste deroghe al CCNL siano realizzate queste siano anche immediatamente esigibili.

Coerenti con la scelta di dare più peso alle organizzazioni firmatarie che non al diritto dei lavoratori (tutti) di partecipare e di decidere democraticamente, l'accordo decide quindi:

  1. Che gli accordi aziendali sono validi se sottoscritti dal 50% più uno delle RSU. L'accordo confederale non dice altro a proposito.

    Dove esistono le RSU (per altro elette su liste di candidati scelti ed indicati dalle organizzazioni, a cui si somma un 33% nominato direttamente dalle organizzazioni) l'accordo non cita nemmeno la possibilità dei lavoratori di essere chiamati ad esprimere il loro consenso o meno all'accordo. Una volta che la RSU a maggioranza firma un accordo quello diventa automaticamente esigibile dalla controparte.

  2. Dove non esistono le RSU, ma le RSA (previste dall'art. 19 della legge 300 del 1979) il voto dei lavoratori è invece previsto ma solo nel caso che a chiederlo sia una organizzazione sindacale o il 30% dei lavoratori.
Il ruolo dei lavoratori nella discussione e nella decisione sulle piattaforme e sugli accordi è quindi previsto solo come fatto residuale, possibile solo dove esistono le RSA e solo se una delle organizzazioni certificate a livello nazionale lo chiede.

E' proprio qui il punto ...... perché mai il diritto dei lavoratori a votare sugli accordi che decidono del loro salario e delle loro condizioni di lavoro deve essere una gradita concessione di una organizzazione (se questa ne ha interesse) e non un loro diritto a prescindere. E se nessuna organizzazione chiede le assemblee che succede? Succede infatti che i lavoratori non potranno decidere su nulla ma solo subire ciò che altri hanno deciso per loro.

Con questo accordo si è quindi puntato solo a stabilire un patto di non belligeranza tra le organizzazioni a scapito di una secca perdita di diritti dei lavoratori alla partecipazione ed al voto vincolante sugli accordi e sulle piattaforme

In questo modo la burocrazia sindacale è liberata dall'onere di rendere conto ai lavoratori di ciò che fa e che firma.

La burocrazia della CGIL tende a ridimensionare questa lettura critica dell'accordo in materia di validazione degli accordi ricordando come, a latere dell'accordo, con CISL e UIL si sia firmata una intesa che impegna i tre sindacati a sottoporre sempre al voto dei lavoratori, sia le piattaforme che gli accordi.

Non si capisce però perché questa intesa non sia parte dell'accordo, o per lo meno, perché l'accordo non citi rimandi a questa intesa.

Ma a smentire l'efficacia di questa intesa tra i sindacati, non è solo il fatto che (come qualsiasi sindacalista sa) le modalità di validazione degli accordi firmati su un accordo ufficiale valgono di più di una intesa che ha più il carattere di un reciproco quanto generico affidamento.

A smentire tutto ciò è proprio la stessa Camusso che, richiamando quell'intesa dice di aver chiesto a CISL e UIL di sottoporre l'accordo confederale al voto dei lavoratori, ovviamente ottenendo da CISL e UIL una risposta fatta di gelidi silenzi se non addirittura negativa.

La stessa Camusso, che vanta la sua propensione ad una ampia democrazia partecipativa, deve ancora spiegare come mai è andata a trattare sulla base di una proposta discussa nelle segrete stanze della segreteria CGIL e mai portata al confronto con i lavoratori, o almeno degli iscritti.

Cioè... la democratica Camusso... per cono di chi è andata a trattare ed a firmare questo accordo?

Diritto di sciopero

L'accordo confederale qui è sintetico ma preciso. "Gli accordi, approvati alle condizioni di cui sopra, hanno effetto vincolante per le organizzazioni firmatarie".

Qui si rasenta l'anticostituzionalità perché, come risaputo, la Costituzione prevede che l'azione sindacale è libera e così pure il diritto di sciopero. Per questo l'accodo confederale è molto attento a sottolineare come "l'effetto vincolante non vale per i singoli lavoratori".

Un ragionamento che è una perla. Si dice praticamente che i singoli lavoratori possono scioperare in presenza di un accordo non condiviso da loro, non discusso e non votato da loro, ma non si aspettino che i loro sindacati li sostengano, perché avendo firmato l'accordo hanno una responsabilità a cui non possono sottrarsi (ne sono cioè vincolati) anche se i lavoratori non lo condividono.

E' qui chiara più che mai la profonda scissione che questo accordo produce tra sindacati confederali e lavoratori. Le dinamiche dell'uno sono separate, distinte da quelle dell'altro

Nel suo insieme l'accordo confederale dimostra tutto l'arretramento della CGIL rispetto alla sua esperienza precedente ed ai suoi caratteri di sindacato generale e confederale.

Dal lato della contrattazione la CGIL si è imbrigliata ormai dentro una linea esplicitamente aziendalista e localista.

Incapace di un progetto generale si limita a fare ciò che succede, accettando di confrontarsi e di adattarsi al piccolo cabotaggio quotidiano della concorrenza capitalistica che, sopratutto in questo momento di crisi, punta tutto su un recupero di produttività basata sulla riduzione dei costi, sull'aumento dell'intensità di lavoro e sulla sua flessibilità e disponibilità del lavoro ad adattarsi agli obiettivi della singola impresa.

Le imprese, in concorrenza tra loro, coinvolgono così in questa lotta anche le rispettive classi lavoratrici, chiamate ad adattarsi agli obiettivi di maggiore produttività della loro impresa di appartenenza, in concorrenza con le altre imprese e con gli altri lavoratori.

I lavoratori verranno chiamati così ad identificare se stessi ed i loro interessi in quelli dell'impresa, la quale chiederà a loro di lavorare di più ed a meno costo dei lavoratori delle imprese concorrenti.

A questo porta l'apertura sulle deroghe al CCNL, a questo si poteva rispondere difendendo rigidamente il contratto nazionale come elemento unificante del mondo del lavoro e come strumento per la sua resistenza all'offensiva di capitale.

Dal lato dei rapporti col mondo del lavoro (che un sindacato generale e confederale dovrebbe unire, rappresentare, emancipare) la CGIL ha deciso di salvaguardare se stessa come organizzazione. Debole nella sua strategia, la burocrazia sindacale tutela se stessa fuggendo dai compiti di rappresentatività del mondo del lavoro e dei suoi bisogni, proponendosi alle controparti come organizzazione affidabile, comprensiva delle esigenze dell'impresa, capace di orientare e governare in questo senso anche il comportamento dei lavoratori.

In pratica afferma che la dove la CGIL è d'accordo lo saranno sicuramente anche i lavoratori

La CGIL ha definitivamente abbandonato ogni residuale soppravvivenza della sua esperienza precedente di sindacato partecipativo e rivendicativo aderendo formalmente al nuovo sistema neo-corporativo di relazioni sindacali già accettato a suo tempo da CISL e UIL.

Questo è nella sostanza l'accordo confederale firmato lo scorso 28 giugno.

Coordinamento RSU

2 luglio 2011

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