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Grillo, cicale e "radicali"

category italia / svizzera | vari | altra stampa libertaria author Friday December 23, 2011 21:27author by Ippolita Zecca Report this post to the editors

Gli avvenimenti della vita sociale spesso si manifestano nella forma paradossale, che non è un' eccezione alla normalità ma il modo di essere di quella realtà. Attraversare il confine sottile che separa, la commedia dal dramma può rivelare aspetti paradossali. Molte volte il buffone di corte, tra una facezia e l'altra, dice cose sagge, cosi pure succede che seriosi e austeri personaggi possano esprimersi e comportarsi in modo ridicolo.

E' preoccupante e ridicolo nello steso tempo scoprire lo zelo con cui organismi come l'ONU, giornalisti di provincia, comici politicanti, eccetera, denuncino come fossero tanti Robespierre fatti e misfatti della politica, per poi lasciare tutto come si trova. Sembra che basti il dovere di cronaca.
Anche il "Gabibbo" con le sue campagne contro la malasanità ha conquistato una posizione di rilievo tra i fustigatori del sistema.
Che vi sia una fronda bolscevica in Mediaset? E' molto improbabile!
Dov'è il paradosso? dov'è il dramma?

I denunciatori istituzionali come ONU, FAO, WTO (che ogni anno forniscono un puntuale resoconto sulla fame nel mondo e la mortalità infantile), i giornalisti, i politici, i comici e pasquini vari, sono una folla, la maggioranza del circo mediatico.
E i malfattori? Una sparuta minoranza. Ma allora perché il bene non trionfa? Siamo arrivati al nocciolo della questione. Non basta elevare vibrate proteste e sfornare dettagliati resoconti. Il confronto non è puramente ideale (di idee). Se fosse sufficiente il (gran) parlare, dissertare e criticare per raddrizzare le cose saremmo in un mondo ideale o prossimo alla perfezione.

In realtà per questa via non solo non si spostano le montagne, ma neanche i sassolini. Per ognuno che protesta e rivendica, vi è un altro che resiste alle proteste, contro argomenta e rivendica a sua volta la legittimità dello status quo. Il confronto non è mai ideale, ma materiale: le idee e le ideologie sono solo l'espressione di interessi concreti e sono comunque sempre riconducibili ad interessi di classe che producono conflitti e lotte. Lotte di classe.

A volte questa lotta è così impari che sembra non esserci affatto. In realtà vuol dire che la classe dominata (la nostra) non è in grado di opporre neanche una minima resistenza visibile ed organizzata. E' proprio in questi frangenti che trova spazio la disperazione di chi abbaia solitario alla luna e si affida alla presunta forza delle parole, alle frasi ad effetto. Se si riuscisse ad organizzare una forza per incidere nella realtà, basterebbe parlare o solo sussurrare.
Le parole senza conseguenze pratiche in fondo non fanno paura, anzi sono una valvola di sfogo che tutto sommato fa bene al sistema perché non ne mette in discussione la continuità, anzi lo legittima come democratico, pluralista e dispensatore di libertà per tutti.
Ecco perché non c'è ragazzaccio terribile che non sia stato istituzionalizzato.

Anche quando la "guerra delle parole" ha coinvolto la generazione degli anni sessanta e si è parlato esageratamente di "ribellismo generazionale" non c'è stato scampo: miti, mode e maniere sono stati addomesticati ed assimilati sino a diventare oggetti di mercato.

Il solo e vero ambito di confronto è la lotta di classe, oggi praticata in modo attivo solo dalla borghesia, che incide sul corso degli avvenimenti e che può tradurre concretamente quello che la critica e la denuncia ha messo in evidenza. Non si tratta di affermare e diffondere i giusti "principi" per influenzare le coscienze: occorre cambiare materialmente le condizioni economiche e sociali dell'esistenza.
Marx sostiene che non basta interpretare la società, ma occorre cambiarla. Di qui la necessità di "praticare" la lotta di classe, certamente partendo dalla critica, ma senza fermarsi alla critica.

Cosa hanno in comune l'area vasta che va da Beppe Grillo sino al più "estremo" dei radicali? Una visione idealistica dei processi sociali.
Anzichè promuovere e schierare la potenziale forza del proletariato per praticare il contrasto sociale, si rivendica uno Stato (comitato d'affari della borghesia) che svolga il ruolo di redistributore della ricchezza.
Anziché suscitare passioni, intelligenze, istinti positivi e dirigerli contro la classe nemica, promovendo cosi identità e autonomia di classe, ci si affida alla benevolenza del potere istituzionalizzato.

Ci si lamenta della mancata attuazione della Costituzione e della Democrazia e ci si acconcia per attuarla, alleandosi con la borghesia "progressista" per scongiurare cosi il pericolo della "Destre". Per preservare il "quadro democratico" si dovranno, ad esempio, accettare riforme previdenziali che prevedono l'uscita a 60, poi 65 e forse 70 anni, ecc.
Sull'altare della Democrazia borghese viene bruciato il presente e il futuro del mondo del lavoro. Quello che conta in definitiva è battere ancora una volta "le Destre", reggere la concorrenza internazionale e confermare l'Italia al settimo posto nella classifica delle potenze economiche.
A fine anno in sede di bilancio, ancora una volta potentati economici e mondo della finanza potranno brindare al conseguimento degli obbiettivi di crescita economica con champagne e caviale; e tutti gli altri? Esclusi dal festino, proveranno a riempire il carrello della spesa in qualche hard discount di sempre più infimo ordine.

Il Riformismo ha storicamente illuso che con una lenta marcia nelle istituzioni, brandendo l'arma elettorale, si sarebbe conseguita l'emancipazione delle classi subalterne. Mettere la croce su una scheda ogni tanto non si è rivelata una strategia vincente, non si è rivelata affatto un'arma: le vere armi, la borghesia le affida solo al suo persone di fiducia. Al popolo delle schede arrivano solo armi scariche.

Il Riformismo parlamentare, nel corso della sua marcia, ha avuto la pretesa di coniugare progresso economico e giustizia sociale, assumendo sempre più il ruolo di sostituto di una borghesia descritta come rozza ed incapace.
Ammalati di protagonismo, onorevoli e sindacalisti illuminati propongono sempre suggerimenti e cure per come gestire l'economia. C'è una simbiosi sempre più stretta con i centri studi confindustriali e finanziari, che nel caso della gestione del TFR, scippato ai lavoratori, diventa correità indistinta. E' come essere entrati da giovani in banca come fattorini ed aver scalato pian pianino posizioni, sino a diventare vice direttori.

Il salotto buono delle grandi famiglie fa ancora qualche resistenza ai parvenus, ma al prossimo giro è facile pensare che Unipol e Consorti, dopo tanta anticamera, saranno ammessi e accettati: fatti accomodare in disparte, ma accettati.
Le evidenze concrete hanno così bruciato anche le più radicate illusioni. Al frasario populista, alla retorica del lavoro e del primato morale abilitante alla guida del Paese, si è sostituito il più prosaico richiamo alla realtà di un D'Alema che ammonisce: "Scordatevi il posto di lavoro fisso!".
Diventati governativi, i nipotini di Berlinguer si sono messi a parlare come un Berlusconi qualsiasi. La macelleria sociale da questi inaugurata non ha conosciuto soluzione di continuità: è proseguita e si è approfondita ritoccando i precedenti record di ingiustizia sociale.
E' venuta meno la possibilità per pensionati, lavoratori, precari a vita, di maledire il cavaliere nero, perché il governo "amico" ci sta comunque facendo vedere i sorci verdi.

A che santo votarsi? Visto che quelli veri non ascoltano, occorre trovare un Masaniello qualsiasi e una spalla su cui piangere. Parte la crociata dei blog.
E' questo un altro modo per dare la scalata alle istituzioni, con accenti di antipolitica. Il V Day (Vaffan**** Day) appunto.
Il popolo della sinistra, che tanto aveva amato i suoi leader, si può vendicare anche cosi ed elaborare il trauma del "c'eravamo tanto amati", andando a raccontare a Grillo storie di ordinario sfruttamento.
Beppe, con il carico di blog, può risalire il colle e consegnare al Presidente Napolitano un librone di denunce. Questa volta gli imputati non sono i borghesi incapaci e gretti ma i politici corrotti, disonesti, drogati, mafiosi, pluri inquisiti o condannati con sentenza definitiva.
Peccato che la crociata dell'antipolitica si concluda con il depositare il libro "Schiavi Moderni" nelle mani della massima espressione politica della Repubblica.

I ringraziamenti e il riconoscimento della più alta carica dello Stato per il lavoro svolto è stata puntuale. La galleria degli orrori e delle ingiustizie sociali che gli schiavi sperimentano nella loro quotidianità documentata dal libro, adesso è patrimonio del Quirinale. Adesso anche Lui sa.
Siamo tutti più tranquilli. Prima non sapeva? Ai tempi di "Mani pulite" andava di moda il "non poteva non sapere". Il lavoro incerto, l'esistenza precaria e intermittente come tante lucine appese ad un tragico albero di natale sono certamente il frutto delle contraddizioni del mercato globalizzato che politici e sindacato concertativo non hanno contrastato, anzi hanno responsabilmente "regolamentato" e legiferato (Biagi e Treu).
Ora suona un po' come una beffa che le lacrime e il sangue che trasudano dalle denunce dei blog trovino un'altrettanto "responsabile" formalizzazione istituzionale: compassionevole, falsa e bugiarda... una cerimonia di retorica con contenuti di maniera.
Ancora una volta, come spesso è avvenuto nella storia del movimento operaio, al posto della lotta si sostituisce una sorta di supplica. Così avvenne nel 1905 in Russia quando il Pope Gapon alla testa di una folla sterminata portò la supplica al Padre Bianco (lo Zar). E fu massacro.
L'analogia con questo precedente storico è che si rivendica giustizia dalle stesse espressioni d'autorità prodotte da una società divisa in classi, in cui la classe economicamente dominante per mezzo dello Stato (il suo stato ) diviene anche politicamente dominante.

Nella salita al colle con le migliaia di denunce da consegnare al Capo dello Stato per fortuna non c'è stato nessun bagno di sangue: la virtualità dell'evento non poteva produrre nulla nel mondo dei vivi.
Ma, al di là delle ragioni profonde e umanissime degli schiavi zaristi e di quelli moderni, è questa visione dello Stato vissuto come ideale dispensatore di grazie e giustizia che è sbagliata. Fintanto che a praticare questi percorsi è Beppe Grillo, mai dichiaratosi comunista e tanto meno marxista, nessun appunto di coerenza ideologica può essere mosso.
Diverso è il caso di tanti che si dichiarano Marxisti. Questa visione dello Stato, non ha nulla di marxista: è una visione da visionari. Solo a sfogliare "Stato e Rivoluzione" di Lenin si dimostra che lo Stato non è neutro, non è un strumento per ridistribuire ricchezza e diritti, ma è al contrario lo strumento storicamente determinato per preservare e casomai accrescere ricchezza e potere della classe dominante.
Questa non è una verità dogmatica tratta da un testo sacro, bensì un'evidenza che si manifesta tutti i giorni. A quali interessi di classe sono riconducibili le finanziarie a sostegno delle imprese e le spese militari per garantire il ruolo imperialistico nel mondo? Perché quando la Borsa entra in crisi, subito le banche centrali muovono in soccorso del grande capitale e degli istituti finanziari con l'esborso di grandi soldi, per poi negare quattro lire per i lavori usuranti?
Di che segno sono le riforme previdenziali che garantiranno solo una vecchiaia di inedia e la precarietà del lavoro e dell'esistenza? Quale contrasto a queste scelte, chiaramente tutte di matrice borghese, ha prodotto la sinistra al potere? Che fine ha fatto il primato della politica?

Nessuno può negare che idee e aspirazioni non fossero buone: peccato che si siano arenate nelle sabbie del transatlantico parlamentare.

Quanto valgono le migliaia di blog? Quanto valgono i milioni di voti raccolti dalla sinistra radicale? Quale processo di autonomia ha prodotto la logica "dammi il voto che poi ci pensiamo noi"?
Lasciamo da parte gli equilibri a sinistra, la sinistra plurale, gli schieramenti e le geometrie parlamentari e il risultato di sintesi nel "governo amico".
Proviamo solo per un momento a ragionare in termini di classe e a scoprire se vi è discontinuità tra il governo di destra precedente e il governo di sinistra che per bocca del suo leader aveva come obiettivo la "felicità".
Nessuna.

Nei posti di lavoro questo rimandare all'orizzonte esclusivamente elettorale la difesa degli interessi immediati (che una volta sommati danno come risultato gli interessi storici) ha prodotto l'abbandono di ogni forma di resistenza.
A questa "metafisica del rimando" è riconducibile anche l'azione di chi scinde il lavoro politico da quello sindacale. Per un comunista, l'azione sindacale altro non è che l'intervento da comunisti nel conflitto economico che tutti i giorni oppone proletariato e borghesia.
Il limitarsi ad una comoda presenza nella CGIL non è tattica sindacale ma para parlamentare.
Il lavoro di costruzione del Partito per i virtuosi delle tattiche non prevede la distrazione di forze dalla diffusione del Verbo. Il lavoro sindacale, vero, è poco nobile: vuoi mettere l'analisi, la strategia? Guai ad accusarli di essere poco conflittuali: qualche volta litigano anche con le segreterie, ma solo durante la ricreazione. Poi, a tempo scaduto, si ritorna allineati e disciplinati a salvaguardare il patto d'azione confederale.

È evidente l'incapacità da parte degli esponenti della cosiddetta sinistra "radicale" di stabilire un approccio con i lavoratori. Il non sapersi rapportare e parlare nei posti di lavoro è solo la conseguenza del non essersi posti il problema di un lavoro organizzato e metodico. L'inadeguatezza si coglie sia a livello politico che sindacale. Ciò porta ad inventarsi di volta in volta una CGIL mitica, una FIOM dura come l'acciaio e leader di minoranza incorruttibili, che guarda caso si ritrovano a votare costantemente le tesi della maggioranza "filo governativa", non senza mal di pancia, distinguo e minacce di rottura mai mantenute.
"Martiri" votati eternamente alla sconfitta, quali Cremaschi o Rinaldini, più che promuovere organizzazione offrono copertura a sinistra, mentre la maggioranza attua il più devastante attacco alle condizioni di vita dei proletari degli ultimi decenni.
Non c'è prova di realtà che possa fargli smuovere il **** dalla CGIL.

Tutto il lavoro di massa concepito dalla sinistra radicale è riferito, quindi, se non alla mitologica sinistra CGIL, ai cangianti "movimenti" o al lavoro del sindacalismo di base, vissuto abusivamente come propria base di massa e su cui di volta in volta cerca di mettere il timbro.
Così i presunti partiti di massa si ritrovano a fare i proverbiali generali senza truppa.

Sto esagerando? Guardiamo le nostre realtà di lavoro. In quadro è mediamente desolante.
Prendiamo ad esempio la mia realtà. San Martino è uno dei più grandi ospedali italiani. Centro nevralgico di interessi e tendenze della politica sanitaria. Una realtà quindi dove più intensamente dovrebbe pulsare l'attività sindacale.
Non c'è nessuna attività sindacale degna di questo nome. Le uniche e sole iniziative, incontri, diffusione di volantini e quant'altro, sono fatte con una certa regolarità solo dalle RdB.
La RSU aziendale si è riunita solo due volte: la prima per votare un regolamento che escludeva dalla commissione trattante le RdB e l'ADASS, una seconda volta per discutere di orario di lavoro e rientri. Tema questo particolarmente sensibile tanto da suscitare l'interesse di alcuni lavoratori che avrebbero voluto assistere ai lavori. Ma incredibilmente vengono allontanati dai loro stessi delegati e non possono partecipare neanche come osservatori. Esempio mirabile di democrazia sindacale! Hanno toccato il fondo ma non è seguito nessun rimbalzo. Dove sono finiti i "radicali" e le componenti rivoluzionarie" della CGIL che agitano minacciosi simboli comunisti che turbano il sonno del cavaliere?

I contenuti dell'azione sindacale sono spesso coincisi con le linee aziendali: una simbiosi totale, scossa solo da polemiche riguardo alla divisione della torta del sottobosco clientelare.
Sui temi di politica più generali si è tenuta un'unica assemblea (a carattere consultivo) per illustrare il precedente accordo contrattuale. Molta più attività vi è stata per propagandare la "bontà" dei fondi pensione. Addirittura con qualche anno di anticipo sono stati distaccati i "migliori" quadri confederali a svolgere la promozione dei fondi su tutto il territorio ligure.
Questo è il quadro. Desolante, nudo e crudo. Questo è il prodotto delle avanzate elettorali.

Nell'Azienda Ospedale San Martino, che per dimensioni e tradizioni doveva configurarsi come una cittadella per la difesa sindacale, sono caduti anche i muri maestri e scorazzano al suo interno i predatori di quello che resta della sanità pubblica.

Nelle realtà minori è facile pensare che le cose vadano ancora peggio. Chi continua a rappresentarsi la CGIL come una grande forza sindacale o non conosce la realtà oppure proietta il sovradimensionamento mediatico del sindacato nella realtà dei posti di lavoro.
Il sovradimensionamento è necessario alla borghesia affinché le politiche di devastazione sociale si svolgano nel rispetto del gioco democratico.
Con l'avallo formale delle centrali sindacali si sta attuando la cancellazioni di conquiste storicamente acquisite, costate sacrifici e a volte anche sangue.

Di recente è apparso un articolo sul Sole 24 Ore che riferiva di una proposta di legge del governo austriaco condivisa dalle parti sociali (in primis del sindacato) che prevede la possibilità di estendere la settimana lavorativa fino a 70 ore, corroborate "ovviamente" da tutta una serie di limiti, correttivi e distinguo. Ma la notizia vera è nel titolo dell'articolo: "L'Austria non è su Marte, ma subito al di là delle Alpi". Il commento di sintesi del giornalista si risolve nel chiedersi quanto questa esperienza "mirabile" di flessibilità potrà essere trasferita al di qua delle Alpi.
In attesa degli aggiornamenti normativi anche da noi, la pratica dello straordinario e degli incentivi ad personam ha prodotto non solo flessibilità, ma destrutturato tutto l'impianto e le tutele del contratto di lavoro nazionale.
È questa una deriva che ci allontana ogni giorno dal lavoro regolare, il solo che possa assicurare dignità. I Lavoratori, costretti a rincorrere orizzonti limitati dalle scadenze dei mutui e dal rincaro del costo della vita, ci pongono con sempre maggiora frequenza domande di questo tenore: "Ci sono soldi in più questo mese?"; "Quando gli arretrati?"; "Quando prendiamo i soldi del contratto?"; domante queste sintetizzabili nel "Non ci interessa il come e il perché: i soldi dateceli subito, anche se pochi sporchi e cattivi".
E i soldi (sempre più sporchi, cattivi e pochi) in effetti sono i confederali a gestirli in coabitazione con l'azienda. Il traffico degli incentivi e dei passaggi nei posti meno faticosi è ormai la ragione d'essere di questa pratica sindacale.

In questo contesto la pratica concertativa trova una giustificazione e una sua dignità pragmatica.
Quel poco che arriva ai lavoratori passa per le centrali confederali. Le critiche e le maledizioni non le scalfiscono. Il consenso lo ricevono dall'alto: non si lasciano distrarre dalla disaffezione della base. Il compito loro affidato è dirigere il traffico dei favori e dei piaceri agli amici.
I "sindacalisti del governo amico" possono darsi l'aria di persone molto pratiche: loro non fanno parole, loro fanno i fatti, producono concretezze non ideologie. Questa concretezza però è pagata lacrime e sangue dai lavoratori, che si vedono costantemente rubare futuro e diritti. Si esalta la contrattazione aziendale perché è un pantano dove i navigatori concertativi sanno nuotare alla perfezione, e affossando così i contratti nazionali.
C'è un silente ritorno al caporalato.
A veicolare questo ritorno al passato non è il pittoresco guarda spalla con coppola e pantaloni di velluto a coste larghe, bensì la riverniciatura in chiave moderna di prestazioni a gettone, progetti obiettivo ad hoc, straordinari, pagelline e promozioni di merito (a discrezione dei dirigenti).

Nel nostro ambiente la meritocrazia, per alcuni, si sposa con la retorica della professionalità vissuta come ponte verso la libera professione. Questi modelli di riferimento, se da una parte fanno sentire moderni e "americani", dall'altra fanno venire meno la solidarietà di classe. Il sindacato, con i suoi contratti collettivi e le sue inutili assemblee, è vissuto come ostacolo ad un percorso individualista che frena futuri percorsi di gloria.
L'atteggiamento è quello del disinganno, proprio del dandy che crede di saperla lunga e pensa... "A me non la racconti".

Vi è un inconsapevole recupero dei cascami del Darwinismo sociale e di una malintesa selezione della specie che fa vincere i più adatti, i migliori.
Loro, i professionisti in pectore, ovviamente sono i più adatti, i vincenti! Sono tanto impegnati a celebrare fatue vittorie, che non si accorgono che gli stanno rubando, insieme a quello che resta delle pensioni, anche futuro, diritti e dignità. Mentre celebrano la retorica della professionalità, le corsie si popolano di figure non professionali.
Anziché rivendicare percorsi di formazione adeguati ai vari livelli e ai vari compiti, si rivendica il personale di supporto, facendo il gioco delle aziende interessate ad una de-professionalizzazione delle attività assistenziali.

Chiusi nella visione corporativa (antica quanto il mondo), questi professionisti non riescono a vedere la correlazione tra difesa della professionalità e riqualificazione delle figure come gli O.S.S., che, pur svolgendo prevalentemente compiti assistenziali, sono inquadrati come figure tecniche, penalizzati perciò sul piano giuridico e contrattuale.
Se non si ferma questa deriva non potrà che affermarsi il modello, già imperante nella Sanità Privata, che vede un infermiere professionale ogni tre piani. Questo abbassa (non alza) il valore della forza lavoro di chi svolge queste attività.
Se non si vince la sindrome dell'autorappresentazione dell'infermiere come surrogato della professione medica, e si cedono, giorno dopo giorno, prerogative assistenziali a figure altre, non solo vi è lo scadimento della qualità delle prestazioni assistenziali, ma l'indebolimento di tutta la categoria. Anche perché è venuto meno l'orgoglio di sentirsi lavoratore.

Alla fine resterà loro solo l'illusione di dirigere, educare, coordinare, orientare ... Ma chi?
Visto che il personale di supporto è in sostituzione e mai in aggiunta degli infermieri, la lusinga di cui si è vittime regnerà sulle macerie della professione. Non si difendono gli infermieri se poi non si contrastano le politiche di smantellamento della Sanità Pubblica, se non ci si schiera contro le finanziarie dei sacrifici, se si tace sullo scippo del TFR. Il non combattere la precarietà farà dei lavoratori stabili degli assediati esposti alla concorrenza e ai ricatti di un padronato che renderanno tutti i lavori insicuri.

Restare chiusi nel recinto aziendale e professionale permetterà al padronato pubblico e privato di aggredirci ovile per ovile.
Ogni qualvolta i conti non tornano, ci si inventa una riforma delle pensioni (che dovrebbe essere "ultima e definitiva") che rimanda il turnover o diminuisce i rendimenti; oppure si allunga la scadenza dei rinnovi contrattuali.
I contratti triennali formalizzano una pratica che ha visto firmare sempre con anni di ritardo la stesura degli accordi. I tre anni saranno la base per ritardare di quanti anni i prossimi contratti?

Con la riforma in senso federale della Costituzione, promossa dal Governo Berlusconi, e che gli altri con il successivo referendum, non hanno emendato, si realizza di fatto la regionalizzazione della sanità. Questa di fatto svilisce il servizio sanitario nazionale e ne crea 20 quante le Regioni, cancellando così tutte le tutele di universalità costituzionale che avrebbero dovuto garantire parità di trattamento sanitario su tutto il territorio nazionale.
La difformità di risorse tra regione e regione ci avvicina sempre di più al modello americano che subordina le cure al possesso di un'assicurazione: altrimenti non resta altro che il ricovero negli ospedali di contea.
Il divario di qualità tra gli Ospedali Pubblici italiani e quelli di contea americani non è poi così distante.
In Italia, senza compassione, va avanti da anni la politica del blocco delle assunzioni e il taglio dei servizi che di fatto replica in salsa mediterranea la politica dell'assistenzialismo compassionevole di George Doppia V Bush.

20 Servizi Sanitari Regionali significano anche 20 contratti regionali, gabbie salariali, minore potere contrattuale, minori tutele rispetto ad una legislazione e una contrattazione unica da far valere per tutti i lavoratori.

È in questo quadro di riferimento che i sindacati concertativi hanno la faccia tosta di recitare il ruolo di gente pragmatica che fornisce servizi e bada solo alla concretezze delle cose. In realtà la pratica si risolve nell'assecondare tutte le misure liberiste, criticandone solo i dettagli: mai la sostanza. La loro attenzione è rivolta solo ai richiami governativi e padronali: mai alle ragioni del mondo del lavoro.

I Confederali pretendono di fare i fatti e non le chiacchiere: noi dobbiamo contrapporre a questa praticaccia una rivendicazione pratica su tutte, che ha anche una forte valenza ideale: lo sblocco delle assunzioni, a cominciare dal Pubblico Impiego.
Il lavoro e i lavoratori non possono essere una pura appendice delle imprese da usare o dimettere a seconda dei capricci del mercato.

Ritorniamo ai blog e ai bloggisti... Cosa ne penso?
Intanto, ogni fenomeno sociale che cattura l'attenzione di tante persone e suscita passioni disinteressate merita rispetto e considerazione; sbaglia chi, con l'atteggiamento radical chic, accoglie con fastidio un eccesso di affollamento plebeo.
Ne penso bene: il popolo dei blog ha comunque preso coscienza dei problemi e li rende manifesti attraverso la rete.
In un altro contesto sociale si andava in sezione o in piazza per scambiare pareri, discutere, conoscersi e socializzare esperienze.
Altri tempi, altro clima politico.
Con meno colore e calore umano, anche i bloggisti ripetono lo stesso percorso e rispondono al medesimo bisogno di condividere esperienze per rompere l'isolamento e l'impotenza individuale.
Scoprire che le ingiustizie sono le medesime, aiuta a cogliere la dimensione collettiva dei disagio.
Quello dei blog è un ambito dove si incubano energie: è una possibile fase del risveglio delle coscienze.
La frequentazione di queste piazze telematiche esprime il bisogno di stare assieme, di confrontarsi. Le modalità hanno una certa ambivalenza: si parte da una umoralità pre-politica, se non addirittura antipolitica (ricordate il V day), e si finisce a cercare occasioni di dibattito su temi eminentemente politici.
Tutto nasce da un sano rifiuto della politica parlamentare, che per fortuna non è tutta la politica e, anzi, ne è solo l'espressione più degenerata e insincera.

In questa fase, al potere evocativo dei cortei e delle assemblee, si sostituisce l'asetticità dei messaggi in bit.
Nei blog si incontrano solo i messaggi, solo la virtualità è condivisa: le persone restano nel mondo reale, isolati, clandestini, anonimi, sconosciuti gli uni agli altri.

Il problema è capire verso quali forme evolverà questo fenomeno. Se la virtualità non maturerà forme di espressione concrete, vorrà dire che il sistema ha sviluppato un'altra forma di sfogo innocua e imbelle.
In definitiva, c'è da capire se i bloggisti andranno a teatro ad applaudire la versatilità del comico di turno o scenderanno nelle piazze ed essere forza vera e palpitante. Spettatori di esibizioni (perché no, genuine, sentite, gradevolmente esilaranti ed impegnate nello stesso tempo) oppure protagonisti diretti della lotta di classe. È questo il bivio...
Per adesso c'è da registrare il fenomeno di rilievo per cui molta gente trova più utile inviare denunce a Beppe Grillo piuttosto che a D'Alema, Fassino e Prodi.

In questo vi è un allontanarsi dal quadro istituzionale, un inizio di rottura.
Se il tutto si risolverà nel "Grillo for president" saremo andati a sbattere contro l'ennesimo muro.
Quando i muri su cui sbattere la testa saranno finiti inizierà lo spettacolo vero!

Ciao, Ippolita

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