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LA BICICLETTA, LA RIVOLTA E LA NOSTALGIA

category iberia | cultura | altra stampa libertaria author Sunday October 01, 2017 23:21author by Gianni Sartori Report this post to the editors

Pedalando in Catalunya

La Catalogna negli appunti di un viaggio in bici risalente a 30 anni fa: roba vecchia, ma forse ancora utile per comprendere la situazione attuale. Tra immagini di degrado industriale e ricordi di un passato di rivoluzioni sociali e lotte per l'autodeterminazione. Una terra particolare pervasa da fermenti di opposizione sociale e aspirazioni indipendentiste.


La bicicletta, la rivolta e la nostalgia...
Gianni Sartori

Agosto 1987, mattina presto, molto presto... 
Partito col buio dal "mio" casermone alla periferia di Badalona, superato in bici un erto colle ricoperto di pini alquanto malridotti, intravista l'abbazia detta "Conreria", ero disceso in velocità verso Martorellos. L'aria fresca del mattino, sbattendo sul viso, mi aiutava ad uscire definitivamente dallo stato di pre-coma conseguente alla forzata levataccia. 
Tutto questo soltanto per arrivare a Mollet del Valles in tempo e poter imboccare lo stradone che corre dritto fino a Granollers prima che il traffico come di consueto diventasse caotico, rischiando un'ennesima intossicazione da piombo (non si è ancora pensato di considerare il saturnismo "malattia professionale" di ciclisti e pedoni?). 
Tra Martorelles e Mollet avevo rivisto (e "sentito") la fogna a cielo aperto eufemisticamente denominata "Riu" (formata dalla confluenza del Mogent con il Congost), dove tutte le grandi e piccole industrie della zona (di)scaricano impunemente residui tossici di varia natura (con conseguente deleterio sinergismo). Infine ero arrivato a destinazione, dopo aver rischiato l'arrotamento da parte dei soliti camionisti dalla guida sportiva.
Tutta “gente che lavora”, cazzo!
Granollers viene ricordato talvolta come la "piccola Guernica" catalana per le centinaia di vittime provocate dall'aviazione italo-franchista tra i suoi abitanti. 
Le strade non più deserte ma ancora cariche di suggestioni mattutine si srotolano tra muri impregnati di "memoria storica": scritte e murales dove la retorica populista (di prammatica) si coniuga con una certa dose di ironia (a volte quasi raffinata e "colta"). 
Ormai scolorito il volto di Zabalza (martire basco, l'ennesima vittima innocente della tortura e della "legge antiterrorismo") più evidente una scritta lievemente surreale (traduco): "Il PSOE è pieno di "morros" ("musi", "labbra grosse": qui sta per "facce di bronzo"), più di cento negri che cantano l'only you...".
Rilevo che persiste una certa dose di (blando?) razzismo nei confronti dei neri. Oltre alle storiche invasioni subite da parte degli Arabi (arrivarono oltre Barcellona) non bisogna dimenticare che alla fine della Guerra Civile le esecuzioni di massa, le "sacas", nei confronti dei repubblicani catalani venivano eseguite dalle truppe di "moros marroquins" filofranchiste. Questo naturalmente non giustifica ma forse può spiegare in parte il relativamente diffuso atteggiamento. 
In una piazzetta, sotto al suo ulivo, dorme ancora la lapide (rinnovata di fresco dopo l'ennesima imbrattatura di marca falangista) per Salvador Casanova, l'amato indipendentista morto di cancro nel 1982, a cinquantasei anni. 
Un compagno che gli fu amico mi racconta con commozione che sentendo la fine ormai prossima Salvador si fece accompagnare sulle rive di un lago. Poi chiese di essere lasciato a contemplare in solitudine e quando tornarono era già spirato. Sul volto aveva la sua solita espressione di serenità e dolcezza (come traspare dalle foto).

Contro l'OTAN (cioè contro la NATO)
Di fronte ad una mensa popolare riconosco (dipinta a calce) la sigla del PSAN (Partit Socialista d'Alliberament Nacional), un gruppo già attivo durante il franchismo (e in odore di stalinismo), ora, 1987, confluito in massima parte nell'MDT (Moviment de Defensa de la Terra).
Ricoperto da un più recente murale della campagna anti-OTAN (1986) traspare il nome illustre del prete pacifista Josep Maria Xirinacs, già candidato al Nobel per la Pace. Ricordo che nelle prime elezioni dopo la morte del "caudillo" venne eletto come indipendente. Attualmente, mi informano, è dirigente di una associazione minoritaria definita (affettuosamente dato il grande rispetto di cui ancora gode) un "gruppo di cumbaià" (dalla nota canzone) ossia di "cristiani bigotti", nel gergo dei "giovani leoni" catalani, fautori di radicali rivolgimenti sociali (almeno a livello di intenzioni). Fotografo per puro scrupolo due nomi sconosciuti su un rosso muro screpolato di fabbrica abbandonata. Le ricerche effettuate in seguito mi confermeranno trattarsi di altre vittime del terrore di Stato: due giovanissimi studenti ammazzati dalla Guardia Civil nel 1979.
Alla stessa epoca, preistoria ormai, risale un (puttanesco mi vien da dire) murale del PSOE in cui il medesimo si dichiara pubblicamente ed esplicitamente a favore della totale autodeterminazione del popolo catalano. Evidentemente il clima pre-elettorale aveva preso la mano al "pintamona" della sezione locale (o c'erano già precise direttive in merito, vista la collaudata tendenza dell'attuale Governo socialista -1987- a fare tutto il contrario di quanto era stato promesso?).
Il fatto che sia stato realizzato in una stradina un po' defilata spiega forse la sua sopravvivenza, foriera di illuminanti prese di coscienza sul gattopardismo politico.
Dopo una residua schiera di murales anti-OTAN (tutti rigorosamente in "català") sbatto addosso ad un altro cavallo di battaglia del movimento: un florilegio murale contro la centrale nucleare di Vandellos 2 (il che permette acutamente di intuire l'esistenza di un'altra Vandellos 1). Da questa si produce in buona quantità quel plutonio residuo che poi viene inviato in Francia per poter essere utilizzato.
Una scritta cubitale a domanda risponde: "Cosa c'è di più pericoloso dell'energia nucleare? L'energia nucleare in movimento". Attualmente si parla di almeno un "treno radioattivo" al mese, senza contare il materiale delle altre centrali situate nei Paisos Catalans, ASCO in particolare. Le mie guide, polemiche e faziose, mi informano che un paio di anni fa si sono contate ben cinque fermate in nemmeno due mesi per guasti di vario genere al reattore del secondo gruppo della centrale di Tarragona . La cosa venne sbrigativamente accantonata dagli esperti del Consiglio per la sicurezza nucleare come "ordinaria amministrazione".
Lluís e Xavi, facchino l'uno, studente-"lavoratore" l'altro (il primo con famiglia a carico, l'altro a carico della famiglia), mi delucidano sulle innumerevoli forme di asma, bronchiti, allergie e affezioni polmonari varie (in genere prevalgono le malattie respiratorie croniche) che affliggono i loro rispettivi figli e nipoti.

Continuavano a chiamarlo progresso
Ripenso all'atmosfera del circostante "paesaggio con rovine" (degno scenario per una eventuale riedizione di "Terminator" in salsa catalana) e obietto che mi stupirei assai del contrario.
Parlo della vasta area industrializzata senza criterio alcuno (tranne, presumo, quello del profitto) che dalle estreme periferie di Barcellona si è diffusa per metastasi nell'entroterra, trasformando i vecchi insediamenti (paesi con una loro storia e identità) in anonimi agglomerati, immersi nei vapori ad alta gradazione tossica (inalare per credere). Tra gli altri ho visitato: Sabadell, Mollet del Valles, Montcada, Cerdanyola, Terrassa, La Garriga, Ripollet, Badalona... (tutte località ben note a chiunque abbia letto una biografia di Durruti o una storia a puntate della CNT); quasi sempre eroicamente su due pedali il che permette di cogliere in pieno e senza "mediazioni" tutta la tragica, "grandiosa" quasi, portata di questa moderna catastrofe ecologica.
Elencando alla rinfusa:
Rivoli di schiuma si disperdono densi in ampi e aridi letti di "fiumi" percorsi da greggi spaurite; a rapida intermittenza si spande l'odore di immondizie e plastica bruciata, alternandosi a quello inconfondibile di "mandorle amare" (segno inequivocabile della sgradita presenza dei cianuri nel micidiale cocktail gassoso); obsolete ciminiere svettanti e fumanti si stagliano (come a Badalona) contro un cielo carico di pulviscolo color ruggine e invano si cerca di intravedere alle loro spalle il mare, che pure c'è. Le ciminiere in questione invece si distinguono da chilometri e chilometri di distanza ma solo per le immani dimensioni, non certo per la limpidezza dell'aree.
Sulle circostanti colline, umiliate dallo "splendore" dei tralicci, ischeletriscono giorno dopo giorno nobili conifere scampate alla furia degli incendi ma avvelenate dalle piogge acide; il profilo delle alture è sfregiato da innumerevoli cave a cielo aperto, alcune in funzione (di tanto in tanto al "botto" fa seguito una scarica di pietrame : attenzione, escursionisti!), altre ormai definitivamente "riconvertite" in discariche (sempre a cielo aperto); il tutto ricoperto da una caotica rete di autopistas e carreteras, percorse da un traffico convulso (direi "impietoso" dal punto di vista di un biciclettaro). . .
Altre immagini scorrono, lente come una bici in salita, nella memoria che si proietta verso le plaghe del "deserto che vive" , tra i due Valles (Oriental e Occidental) e il Maresme: cimiteri di macchine con agavi messicane spuntate tra le carcasse di auto e corriere; bassi vigneti sui pendii che evocano i turbolenti "rabassaires"; ancora greggi vaganti e piccole orde di cani randagi; industrie chimiche e concerie che si alternano alle modernissime fabbriche di informatica (capitale a maggioranza giapponese); monoliti d'argilla provocati dall'erosione, una brutta e degradata variante delle "piramidi di terra" di Renon e Segonzano (mi spiegano che il fenomeno geologico dei "monoliti" era completamente sconosciuto vent'anni or sono); stormi di isterici gabbiani ammassati sulle sponde del Rio Besos a ingozzarsi di liquami e scorie. . . Da queste parti alcuni che hanno studiato la chiamano "modernizzazione". . .

Speculare in "català" c'est plus facile
Dicono i Baschi (che se ne intendono) che dove scompare l'uso della lingua madre cambia anche il paesaggio ancestrale. Ma ormai anche questa tesi, apparentemente inconfutabile, sembra venir smentita dalla moderna "complessità": sulle colline intercalate tra Barcellona e le località sopra citate si dimostra e tocca con mano che la conservazione dell'idioma nazionale può benissimo andarsene a braccetto con la distruzione del territorio e la più bieca speculazione.
Infatti i cartelli che annunciano la lottizzazione e vendita delle residue aree verdi sono equamente divisi tra la lingua catalana e quella castigliana. Va anche detto che l'ambientalismo militante (contro gli incendi, gli abusi edilizi, l'inquinamento in genere...) sembra privilegiare decisamente il "català".
Da Mollet (un centro cospicuo, passato in soli dieci anni da 10.000 a 40.000 abitanti) al più modesto Gallecs si può arrivare anche seguendo i percorsi alternativi, tra campi e strade sterrate, noti a chi vi ha trascorso l'infanzia. Lluís ricorda con tristezza quando la campagna circostante era ancora ricca di alberi e il "bosc" non era stato sventrato dalle autopistas.
Sembra che la chiesetta romanica di Gallecs sia stata eretta su rovine precedenti ("pagà" - pagane); con l'ultima ristrutturazione il campanile medioevale è stato eliminato perché pericolante e, per consolazione, si è aggiunto un muro (antiestetico) che delimita l'antico cimitero intorno all'edificio. Proprio dietro la chiesa, tra le erbacce giganti e i mucchi sfatti dei fiori ormai appassiti, fa bella mostra di sé una pesante (all'aspetto) bara scoperchiata (vuota per fortuna ma anche così abbastanza inquietante). Nei pressi si è installata una cagna randagia e ringhiosa con prole. Anche questo, mi pare, esprime senza bisogno di commenti quanto grande e profonda sia la forza della vita...
I frequenti casolari abbandonati della zona vengono sistematicamente occupati da gruppi "punk" e da famiglie di gitani (confermando la tendenza alla stanzialità degli "zingari" locali). Proliferano anche le abitazioni abusive (seconde case) dei cittadini "dominqueros".

In castigliano hambre in catalano "gana"
Basta osservare qualcuna delle polemiche scritte per intuire lo stato di conflitto latente che si è instaurato tra i due antitetici gruppi sociali (o tra le diverse e opposte concezioni del mondo).
A sentir loro gli "squatters" (giovani, artisti, punk, ecologisti, vegetariani) vengono qui "per viverci", lavorano la terra o comunque danno un senso "alternativo e antagonista" alla loro esperienza, rispettano l'ambiente, ecc. Invece i dominqueros ("consumisti e omologati") vengono di tanto in tanto con gli amici per una "tavolata" di carne alla brace, approfittando dell'occasione per disboscare un altro po' di vegetazione residua e provocare i soliti incendi di fine settimana. Ascoltandoli torno indietro nel tempo, a Ovada, quasi vent'anni fa 8fine anni sessanta)... meglio che niente, comunque.
Lungo le rive di un anonimo "riu" e intorno sui campi incolti pascolano greggi innumerevoli di "pastori urbani" (n.b. NON "urbanizzati" come verrebbe da pensare). Questa pratica, diffusa e "selvaggia" , della "pastorizia sommersa" (con le greggi che invadono gli interstizi delle zone di recente urbanizzazione, le periferie, a volte gli stessi centri abitati) è monopolio degli immigrati "spagnoli" (discutibile sinonimo di andaluso) "sense feina" (senza un lavoro fisso).

Infatti - come osserva argutamente un barista di Mollet dalle lontane ascendenze galleghe - quando un catalano resta disoccupato si dedica al "lavoro nero di tipo industriale" non a queste attività marginali. Vengo poi erudito sulla situazione di larghi strati della popolazione andalusa, a volte ancora ai limiti della sussistenza. Non tutti i casi di bambini dell'Andalusia (ma pure dell'Estremadura e, dicono, anche di qualche vicolo di Barcellona) morti per "denutrizione" sono assurti agli onori della cronaca.
Ritrovo l'epitaffio pubblicato da un giornaletto "sovversivo" alla fine degli anni settanta (n.b. dopo Franco) per la morte di una bambina, figlia di disoccupati:

Maria del Pilar Benitez, de cinco anos de edad,
hija de un obrero parado,
ha muerto por desnutricion.
R.I.P.
Su cadaver apareciò una manana en un
misero y reducido dormitorio de una
modesta casa de Huespedes.
Sus padres, hermanos y familiares no
piden una oracion por su alma...
PIDEN JUSTICIA!

Prima di proseguire sul terreno infido degli andalusi emigrati in Catalunya premetto, a scanso d'equivoci, che la sinistra radicale-indipendentista non si sogna neanche di sottovalutare la gravità dei problemi che affliggono questa comunità. Spesso anzi interviene concretamente in solidarietà con le lotte sociali che si sviluppano in Andalusia e cerca di facilitare le integrazioni degli emigrati nelle stesse lotte dei catalani di origine: contro l'OTAN, contro la disoccupazione, contro il nucleare, ecc... Anche recentemente c'è stata mobilitazione in favore dei braccianti giornalieri andalusi incarcerati dopo l'ennesima occupazione collettiva di terre.
Sostiene invece che il Governo strumentalizza la "questione andalusa" in funzione apertamente anticatalana.
Gli immigrati rappresentano un consistente serbatoio elettorale per il PSOE (Gonzalez, esponente del PSOE e a capo del governo è andaluso) che con la sua politica alimenta le divisioni "in seno al popolo" (o meglio: ai popoli). Per es. da qualche tempo il Governo garantisce ai disoccupati andalusi un sussidio pressoché infinito (anche se minimo): in pratica una specie di "salario garantito".
Nel resto della penisola il sussidio di disoccupazione dura a mala pena un paio d'anni, nonostante il ritmo delle "riconversioni" scaraventi in mezzo alla strada migliaia e migliaia di lavoratori, spesso l'unica fonte di reddito di intere famiglie (vedi la consistente percentuale di suicidi tra i neo-disoccupati).
Si tratterebbe quindi più che altro di una operazione demagogica che rischia di deteriorare la non sempre facile convivenza tra le due comunità.
Un ex-socialista in crisi mi ha fatto un confronto tra la situazione attuale delle classi subalterne iberiche col socialismo "light" (non certo rosea, simboli a parte) e quella della "Banca".
A conti fatti col PSOE al governo le banche hanno utili molto più alti che durante il franchismo. Già i profitti realizzati nel corso dell'85 (tenuto conto dell'inflazione ecc.) erano esattamente il 27,1% in più dell'anno precedente, contrastando apertamente con i circa tre milioni di disoccupati (22% del totale della popolazione attiva dello Stato spagnolo).
Nello stesso periodo gli incrementi salariali "concessi" dal padronato erano stati del 7% di fronte ad un'inflazione superiore all'8%.
"Una semplice coincidenza?", si chiede.
Del resto è stata proprio la "Grande Banca", insieme all'oligarchia fondiaria a incaricare Gonzales & C. di gestire la "riconversione".
Come è noto la pesante ristrutturazione dell'apparato produttivo, realizzata in tempi record e con costi umani elevatissimi, era destinata a gravare socialmente soprattutto sulle componenti più deboli: le classi subalterne e i popoli minorizzati (non "minoritari" n.d.r.) della penisola. Per la cronaca: sembra che i "tributi" maggiori siano stati pagati dalla popolazione della Galiza, "regione" non certo tra le più floride, mentre la resistenza più dura ai progetti governativi è stata probabilmente quella opposta dalla classe operaia basca (come nella "battaglia dei cantieri Euskalduna).
Dimenticavo: a complicare ulteriormente il panorama politico locale, nel 1987 è nato un nuovo schieramento politico: il P.A.C. (Partito Andaluso di Catalogna) formato soprattutto da immigrati di data recente.
Per esaurire l'argomento, spero definitivamente, riporto alcune considerazioni su un fenomeno che ritengo sociologicamente degno di nota, per quanto secondario.

Gli orti abusivi
Migliaia di immigrati andalusi hanno occupato a livello individuale ogni possibile area che non fosse già coltivata (in genere demanio pubblico) e da cui fosse possibile ricavare un orto o una sua sottospecie. In genere la "proprietà" si presenta come una serie di "vanese" (xe veneto, no catalan) con verdure eterogenee, qualche striminzito albero di pesche, una baracchetta in cartone e lamiera (raramente muratura) e una coppia di poltrone (o sedili d'auto) sotto un'ombra, per la siesta. Oltre alle rampe erbose lungo le autopistas e in prossimità dei cavalcavia, i luoghi più ambiti sono soprattutto gli ampi greti dei fiumi in secca estiva e le rive, in passato coperte di vegetazione.
Infatti il rigagnolo residuo fornisce una, se pur scarsa, fonte irrigua. Inoltre (contando sulla presenza del pozzo) sono state letteralmente abbattute, distrutte alcune vecchie case coloniche di cui è ancora possibile riconoscere tracce delle fondamenta (e la stessa planimetria dato che i diversi vani sono stati usati in maniera differenziata: pomodori e melanzane in camera, meloni nella stalla, ecc.).
Se una parete è rimasta miracolosamente in piedi è soltanto per svolgere la funzione di muro divisorio con la proprietà confinante.
Tutto questo mi viene illustrato dal mio accompagnatore che intanto mi indica i ruderi della sua casa natale riciclata in orto botanico: oltre ad un comprensibile rammarico mi sembra di cogliere un certo astio contro gli "intrusi". Sul pendio dell'autopista spicca un orto isolato, un vero fazzoletto di terra ma circondato da steccati che non sfigurerebbero come "barricadas" neanche a Donostia (in effetti ricorda Fort Apache).
Siamo nei pressi del luogo dove affondava le sue radici lo storico "Pino di Gallecs" (per secoli una specie di "totem", simbolo integratore della comunità locale) quando mi raccontano come sia avvenuta la "colonizzazione" sulle rive del Riu che scorre poco lontano (la versione mi è stata fornita dai nativi e confermata candidamente da un paio di "ortolani").
Con metodo, nottetempo, quasi tutti gli alberi che ancora crescevano fitti lungo le sponde, sono stati avvelenati (dato che la legge proibisce di abbatterli da vivi).
In proposito Juan mi spiega che "un catalano piuttosto avvelenerebbe sua madre. L'albero è un simbolo ancestrale frequentissimo nella cultura popolare locale". (mi chiedo: perché, la "Mamma" no?).
L'atto criminoso ovviamente suscita riprovazione e provoca un certo risentimento nella stragrande maggioranza dei catalani, tutta gente con una discreta sensibilità ambientalista e alquanto rispettosi del territorio, della "terra". Probabilmente lo sviluppo di una coscienza ecologica è direttamente proporzionale al tasso di inquinamento quotidianamente subito.
Per quanto riguarda i "coloni" andalusi incriminati è probabile che queste mini-proprietà forniscano un ancoraggio psicologico a ex contadini e braccianti sradicati (oltre alla sensazione di "possedere" qualcosa a chi da sempre viene espropriato, così della terra come del frutto del proprio lavoro...) .
Un altro motivo (non proprio pretestuoso, direi) per cui questi orti sono malvisti dagli "indigeni" risiede nella loro potenziale pericolosità in caso di piene invernali. Infatti le infinità di steccati, tramezzi, recinzioni in cui vengono divisi si trasformano in altrettanti sbarramenti quando le piogge riempiono completamente gli alvei, decuplicando la portata distruttiva delle piene stesse.
Qualche altra considerazione: pur non essendo ancora quotati in borsa un orticello del genere vale, al mercato nero, attorno alle 100.000 pesetas. Infatti rendono bene visto che le verdure vengono rivendute nei vari mercatini (pensando al grado di inquinamento dell'acqua utilizzata per irrigare mi vengono sudori freddi...). Come sempre lo spirito d'iniziativa genera emulazione e provoca concorrenza, per contagio. Faccio conoscenza con un vecchio contadino, catalano purosangue, che ha occupato un paio di campi (di non meglio precisata proprietà statale) non lontano dai suoi. Senza problemi costui mi confessa di praticarvi abusivamente colture intensive con l'impiego sfrenato di ogni possibile mezzo chimico (dai concimi ai diserbanti più "efficaci"), pur sapendo che sono nocivi per la salute e deleteri per i terreni, tanto "non è terra sua".

Sul PrePireneo andata e ritorno
Arrivato (faticosamente) oltre Berga (sul PrePireneo, Sierra del Cadì) sto valutando, del tutto seriamente, la rilevanza storica di una lapide in "català" posta sul muro di una baita-rifugio. Il mio interessamento nasce dal fatto che in questi paraggi si svolsero gli ultimi scontri di una certa consistenza tra repubblicani e franchisti (alla fine della Guerra Civile, nel '39) nonché alcune delle imprese del gruppo di Sabaté (el Quico) e di quello di Salvador Puig Antich (il M.I.L.). Vengo subitamente "smontato" da due escursionisti i quali, molto gentilmente, mi spiegano trattarsi soltanto di una targa ricordo di alcune gare di sci (le prime svoltesi sui Pirenei). I nomi riportati sono quelli degli atleti e non di guerriglieri caduti. Per salvare la faccia fotografo lo stesso dichiarandomi interessatissimo.
Per chi volesse saperne di più aggiungo che la località è denominata Rasos de Paguera e che nelle immediate vicinanze scorre il Torrent dols porxos.
L'episodio in sé banale mi ricorda che, allo stato attuale, il catalano è quantomeno una lingua assestata, non più solo la "lingua della Resistenza" come durante il franchismo.
Nei boschi e prati circostanti molti gruppi famigliari in "pellegrinaggio" al "Pi de les Tres Branques" approfittano della bella giornata per un picnic. Il Pino (l'equivalente del basco "Albero di Guernica") simboleggia l'unità dei tre paesi catalani e rappresenta uno dei simboli più amati da questo popolo (assieme al famoso "Fossar de les moreres" di Barcellona).
Niente rifiuti intorno al "Pi": le uniche "cartacce" sparse tra l'erba ad un esame più attento risultano volantini di "Terra Lliure", l'organizzazione indipendentista che pratica forme di lotta armata (numericamente poco consistente anche perché i Catalani in genere privilegiano la "lotta di massa" e il confronto culturale e politico).
Mi "emoziona" pensare che la zona in cui sto vagando (in cerca di un fantomatico "Myogale pyrenaica") si trova proprio tra la parte superiore del corso del Rio Cardoner e quella del Llobregat dove (come purtroppo NON è abbastanza noto) nel 1932 si svolsero eventi tra i più radicali (qualitativamente paragonabili alla Comune di Parigi o a quella di Kronstadt) del XX secolo.
Anche se, come ebbe a dire Federica Montseny: "Cinque giorni di Anarchia non durarono più della vita di un fiore" la rivolta dei comunardi di Berga, Fígolo, Cardone, Gironella, Sallent e Suria, dove venne instaurato il comunismo libertario con l'abolizione della proprietà privata e del denaro (e scusate se è poco), resta esemplare e insuperata (dal mio modesto punto di vista, si capisce).

Invasi ed occupati
Angel e Maria Ferranda, una tipica famiglia moderatamente nazionalista (in quanto catalani, ovviamente), trascorrono abitualmente i loro week-end nei dintorni del Pino illustre.
Non ricordano con esattezza quale sia la data canonica delle celebrazioni e discutono animatamente se si tratti del 24 o del 21 (ma potrebbe essere anche il 26) di giugno. Comunque coincide con quella in cui tradizionalmente vengono accesi falò notturni in tutta la Catalogna, al di qua e al di la dei Pirenei.
Anche per loro comunque la ricorrenza più importante resta la "Diada", festa nazionale catalana dell'11 settembre, in ricordo della caduta di Barcellona nel 1714, dopo tredici mesi d'assedio da parte delle armate di Filippo V.
Queste vallate costituiscono quella che gli attuali leader socialisti definiscono ironicamente la "Catalogna profonda" da dove prese inizio la "reconquesta" contro gli Arabi.
Questi ultimi, servendosi dell'ancor ottimo tracciato delle strade romane, erano giunti fino a Barcellona e Girona, ma non quassù. Non posso fare a meno di rilevare che, con l'attuale ritmo febbrile di costruzione di nuove autostrade (oltre al Governo madrileno sembra aver ormai contagiato anche la stessa Generalitat, il Governo "autonomo" catalano), la prossima eventuale invasione si porterebbe sicuramente molto più in profondità.
Mi rispondono che dal canto loro si sentono "già invasi e occupati".
Persa definitivamente ogni speranza di riuscire a fotografare un esemplare del rarissimo (a detta dei naturalisti) DESMAN pirenaico (a scopo di lucro, s'intende) abbandono le plaghe silvestri e torno alle lunghe strade risalite con baldanza qualche giorno prima.
A Berga il "català" regna sovrano su targhe, manifesti, cartelli stradali, ecc... Sullo stesso muro, senza soluzione di continuità, convivono un murale della C.N.T. (Confederación Nacional del Trabajo, anarcosindacalista, nata in Catalunya e poi estesasi a tutta la penisola) e un altro del F.N.C. (Front Nacional de Catalunya). Il primo ricorda ai viandanti che qui se non altro si tentò l'assalto al cielo (Berga, come ho detto fu uno dei centri principali della Comune del '32).
Noto che in quello del "Front" la bandiera catalana vi è raffigurata con la stella bianca in campo azzurro, variante di quella con stella rossa in campo giallo.
Ovviamente rimangono inalterati i "QUATRE RIUS DE SANG", rossi su sfondo giallo.

Ma la storia si ripete
Tornando verso sud, in direzione di Manresa, appena superato Sallent, ritrovo gli impianti della "Esplosivi Rio Tinto", la nota multinazionale che opera proficuamente anche in Sudafrica. Sfilano per circa due-trecento metri sia a destra che a sinistra: evidentemente i locali depositi di potassio vengono sfruttati con metodo.
Sui muri chiari della fabbrica rispuntano le scritte di "Terra Lliure", già intraviste numerose dalle parti di Balsareny e Navas.
Smonto e proseguo un po' a piedi lungo lo stradone stranamente deserto (colpa dell'ora e del caldo torrido, presumo).
Sui lunghi steli rinsecchiti ai bordi della statale si accalcano file e grappoli di chiocciole minuscole in letargo estivo.
L'accorgimento permette la sopravvivenza durante quella che in alcune zone dell'area mediterranea è senz'altro la stagione più ostile (come è noto l'"estivazione" di gruppo viene praticata anche dalle coccinelle, sotto le pietre, da alcuni lepidotteri come la "Autia Caja" di Rodi ecc.). La cosa sarebbe normale e comprensibile nel Nordafrica o nelle isole dell'Egeo ma non mi risulta che sia stata osservata (almeno non in maniera così consistente) a queste latitudini: avrà a che fare con qualche mutazione climatica indotta dall'inquinamento e dal disboscamento? Quien sabe?
Conservo l'ultimo scatto fotografico per una scritta vista all'andata che qui riporto testuale: HAN ASESINADO A UN OBRER EN UN PAIS DEMOCRATICO Y BAJA UN GOBIERNO "SOCIALISTA" (firmata dal M.E.N. "Moviment d'Esquerra Nacionalista" un gruppo molto attivo quanto non organizzato e strutturato, con spiccate tendenze "antistataliste" in cui convivono antinucleari, femministe, punk, vecchi antifranchisti e roba del genere....).
Il polemico epitaffio si riferisce ad un fatto di sangue accaduto nel 1987, a Reinosa. La Guardia Civil sparò contro un picchetto di operai che protestavano per una serie di licenziamenti da "riconversione".
La forte sottoesposizione metterà poi in evidenza sulla diapositiva un'altra scritta di cui probabilmente non avrei mai sospettato l'esistenza, ricoperta com'era da svariate "man de bianco". Pure questa la riporto testuale: JAVIER VEDEJO, UN ASESINATO MAS DE LA MONARQUIA (firmato C.N.T.).
Anche Javier era stato ammazzato dalla Guardia Civil durante uno sciopero, dodici anni prima, nel 1975.
Sarà scontato dirlo ma voglio dirlo ugualmente: Niente di nuovo sotto il sole cocente . La storia si ripete...SENZA FINE.
Gianni Sartori

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