Memorie di un anarchico veronese dal carcere e dal confino fascista
Operaio, anarchico, antifascista, dopo aver partecipato alle lotte politiche e sindacali nella sua città il veronese Giovanni Domaschi (Verona, 1891-Dachau, 1945) ha trascorso quasi per intero il ventennio fascista rinchiuso in carcere o relegato al confino. Membro del secondo Comitato di liberazione nazionale di Verona, prima di essere deportato in Germania e di trovare la morte in un lager ha avuto modo di scrivere le sue memorie.
Operaio, anarchico, antifascista, dopo aver partecipato alle lotte politiche e sindacali nella sua città il veronese Giovanni Domaschi (Verona, 1891-Dachau, 1945) ha trascorso quasi per intero il ventennio fascista rinchiuso in carcere o relegato al confino. Membro del secondo Comitato di liberazione nazionale di Verona, prima di essere deportato in Germania e di trovare la morte in un lager ha avuto modo di scrivere le sue memorie. Un testo affascinante che contribuisce a fare luce sulla mentalità, sulle convinzioni politiche e sulle scelte di vita di un operaio anarchico nella prima metà del Novecento. Un intreccio tra la storia comune di un militante di base e una vicenda biografica eccezionale (al pari di molte altre storie di vita di quegli anni), segnata dalla costante volontà di resistere al regime fascista e di lottare per la libertà.
Andrea Dilemmi è dottorando in Storia contemporanea presso l’Università di Verona, città dove vive e lavora. Nel 2006 la sua tesi di laurea è stata premiata con la borsa di studio “Città di Verona”. È autore del saggio Anarchismo e sindacalismo rivoluzionario a Verona dalla guerra di Libia al fascismo, in Socialismo, anarchismo e sindacalismo rivoluzionario nel Veneto tra Otto e Novecento, a cura di G. Berti, Il Poligrafo, Padova 2004 e del volume Il naso rotto di Paolo Veronese. Anarchismo e conflittualità sociale a Verona (1867-1928), BFS, Pisa 2006. Nel 2004 ha ottenuto la borsa di studio “Pier Carlo Masini” per una ricerca su Giovanni Domaschi.
"Le mie prigioni e le mie evasioni
Memorie di un anarchico veronese dal carcere e dal confino fascista"
di Giovanni Domaschi
a cura di Andrea Dilemmi
Cierre edizioni / Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea,
2007, pp. X, 409, ill.
Prezzo €18,00
via Ciro Ferrari 5, 37066 Sommacampagna, Verona
tel. 045 8581572, fax 045 8589883
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Mentre Henri Charrière alias "Papillon" si appresta a percorrere la «strada della putredine», che lo porta al bagno penale della Caienna francese dopo essere stato condannato, nell'ottobre del 1932, dal Tribunale di Parigi, Giovanni Domaschi ha già all'attivo due avventurose evasioni dall'epilogo sfortunato e altrettanti tentativi di fuga. La prima delle quali, messa in atto a Lipari nel luglio del 1928 con Mario Magri, Giovanni Battista Canepa e Alfredo Michelagnoli, è certamente la causa principale dell'indubbia notorietà di cui Domaschi gode, all'epoca, tra i compagni di confino.Occorrerebbe lo spazio di un volume per seguire il nostro compagno nelle sue gesta.
(Vella R., Giovanni Domaschi, martire della libertà, «Il Libertario», 25 aprile 1955).
Vivo soltanto per questo: evadere, evadere, solo o accompagnato, ma darmi alla fuga. È un'idea fissa [...] che mi ossessiona. E realizzerò, senza esitare, il mio sogno.
(Charrière H., Papillon, Mondadori, Milano 1970, p. 361).
Il compagno Giovanni Domaschi, non è conosciuto dai giovani venuti a noi in questo dopo guerra, ma è stato indubbiamente una figura delle più spiccate del movimento nostro in Italia, particolarmente durante il fascismo e nella lotta durata più di vent'anni per abbatterlo. I compagni, e non sono pochi, che ebbero occasione di passare durante quest'ultimo quarto di secolo, in qualcuno dei numerosi penitenziari o nelle isole di Confino, ha[nno] avuto occasione di conoscerlo e stimarlo. Questi anni, venti, li ha passati tutti tra galera e confino, fermo, rigido, integro, sempre primo in ogni atto di protesta, e fra i detenuti o fra i confinati, fu sempre uno dei più quotati.Il prestigio dell'anarchico veronese non traeva origine solamente dai suoi meriti di «protagonista delle fughe più incredibili» un vero e proprio «indemoniato» pronto a tentare l'evasione anche nelle situazioni più difficili: è la persona, sono il suo carattere semplice, aperto e la fermezza di fronte alle imposizioni del fascismo a farne, tra i confinati, un militante conosciuto e stimato. Temuto e rigidamente sorvegliato, al contrario, dai suoi carcerieri: sarà uno dei pochi confinati ad avere "l'onore" di essere pedinato di continuo da un milite ad un metro di distanza. Francesco Fancello, compagno di carcere di Domaschi nel IV braccio di Regina Coeli a Roma, ne sottolineava infatti «le eccezionali doti di generosità, di coraggio e di indomita fermezza. [...] In tutte le polemiche portava un riposante umorismo e una giovialità inesauribile, che perdeva solo quando si toccavano certi principi fondamentali a cui si conservava fanaticamente fedele». Ernesto Rossi infine, anch'egli a lungo suo compagno di cella, scriveva: «Abbiamo trovato tutti in Domaschi un ottimo compagno: intelligente, profondamente buono e con un senso altissimo della dignità personale».
Di fronte a quanto d'azione si è fatto nell'Europa occupata in questi anni di guerra, di fronte a quanto fanno i nostri partigiani, il raid di Lipari appare come un misero granello di sabbia nell'immensità del deserto. Ma, allora, la situazione italiana era in silenzio. Con le leggi eccezionali e con un regime di polizia, con le frontiere chiuse, tutto era immobile. Il raid di Lipari fu come un sasso gettato al centro di un lago calmo in una giornata di sole. Attorno al punto toccato dal sasso, i cerchi si formano, si moltiplicano, si estendono, e ridanno animazione all'immobilità, vita improvvisa alla morte apparente.Così scriveva Emilio Lussu commentando la propria fuga da Lipari, effettuata nel luglio 1929 in compagnia di Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti, e coronata dal successo. Un passo che contribuisce a chiarire, anche nel caso di Domaschi, la distanza della percezione e, assieme, le ragioni della nascita di una memoria epica del "combattente indomito". La quale, di fronte all'apparente dicotomia rispetto a quella, più umana, del "buon compagno" intelligente e gioviale («il bravo Domaschi», lo definiva Ferruccio Parri; «un giovane di poche parole, intelligente e mite», Nitti), ritrova la sua unità nel significato che assumevano sotto il fascismo (ed ancor più in carcere o al confino) la coerenza alle proprie idee, la volontà di non piegarsi e qualsiasi atto, piccolo o grande, di disobbedienza. Che, occorre ricordarlo, aveva sempre dure conseguenze.